Tutte queste persone che osservano il mondo dallo spiraglio di una porta.
Si ha come l’impressione che lo scrittore svedese eserciti la nobile arte sotto l’impulso di un riflesso condizionato, come una sensazione di urgenza, il timore di perdere un’opportunità. Poter narrare una storia quale che sia il genere e le circostanze, diventa strumento per aprirsi, in una sorta di confessionale, all’autocritica più intensa. La colpa: non aver ancora demistificato il mito per antonomasia, l’eden di rettitudine, benessere ed accoglienza che in realtà offrirebbe del paese scandinavo una versione purgata, un falso ideologico per dirla come da codice penale.
Questo bisogno di rivelare, quasi una necessità organica, manifestata con la contrizione di un peccatore che deve prima espiare per poter essere accolto tra i probi, impregna di afflizione e scoramento ogni nuova proposta ci arrivi da quelle terre infreddolite. Se è puntualmente vero che temperature ostili, tonalità incolori, luci abbassate inducono a riflessioni tutt’altro che incoraggianti, nella parte nord dell’emisfero questa condizione estesa al periodo più lungo dell’anno produce “mostri” (sia detto in senso buono), nella capacità di esprimere l’abbandono, il ritiro o la clausura.
E’ una predisposizione indotta dai luoghi a cui Kallentoft non si sottrae, anche la sua è una solitudine da numeri primi. Semmai nella modalità non è proprio di una detection novel che si puo’ affermare, mancano gli elementi costitutivi, l’azione prima di tutto, soffocata in una bonaccia di voci che si sovrappongono, l’uso eccessivo dello stream of consciousness che si riproduce in un coro disturbante alla distanza, interferendo con la logica conseguenzialità dell’intreccio. Nel confezionare una storia di sangue Kallentoft, mentre sembra richiamare riti sacrificali e punizioni corporali, assassini seriali e brutalità di branco, mette invece in scena da protagonista il tema della marginalità, nella forma che prospera in mezzo a comunità infrattate, orfane di sentimenti e istinto di protezione.
La sua Malin Fors, una poliziotta che si divide come può tra lavoro e una figlia in crescita, più che un’indagine registra un documentario scientifico, una zoomata su borre di convivenza di cui si liberano anime inquiete, un’avanscoperta alla cieca in una comunità appartata rinchiusa tra boschi eterni. Lì tra quelle mura vi ha portato il corpo dondolante di un uomo sovrappeso, di sconfitte prima ancora che da grassi saturi, appeso a un ramo come un avviso di maltempo. Pallone, come lo chiamavano per l’abitudine giocosa al raccattapalle, è figlio di nessuno e compagno di niente.
La sua giornata si alterna tra il tempo delle abluzioni quotidiane e l’attesa di un lancio fuori campo, perché solo in quel momento perde l’invisibilità, e nel suo caso non è un superpotere. Capire il perché l’abbiano ammazzato è più importante di capire il come. Ad uno così si può infliggere ferite anche per noia, centocinquantachili con cui prendersela. Nel corso dell’indagine si scopre che il male l’aveva già avvicinato, la sua assistente sociale ha ricevuto un battesimo dell’orrore negli stessi boschi, era l’unica che si interessasse a lui.
Ed ecco emergere legami familiari sepolti sotto una coltre di non detto, tracce genetiche che portano sempre nella medesima direzione, seguendole Malin profanerà il regno chiuso di un clan di consanguinei nelle cui stanze si sono consumate violenze primitive, con il loro repertorio di danni collaterali e gli infiniti modi per riprodursi.
Articolo di Michele "Frankie Machine" Frascari
Dettagli del libro
- Formato: Rilegato
- Pagine: 444
- Lingua: Italiano
- Titolo originale: Midvinterblod
- Lingua originale: Svedese
- Editore: Nord
- Anno di pubblicazione 2010
- Codice EAN: 9788842916475
- Traduttore: A. Storti
6 commenti:
Grande Frankie! Rimango della opinione che questa ventata (gelida) di autori del Nord sia un po' pompata dal marketing editoriale. Per quel che mi riguarda preferisco altre letture.
Condivido il pensiero di Lofi. Io devo ancora leggere il terzo di Larsson ma non mi attira per niente. Frankie però riesce a rendere interessante qualsiasi libro!
Se Frankie scrivesse un libro nordico lo comprerei subito. Provaci amico, cambi nome e cognome e il gioco è fatto. Tutto ciò che scrivi mi diverte troppo.
Eccellente come sempre.
Su Kallentoft la puzza di ennesima bufala è molto alta.
Io, poi, un morto che parla lo infilzerei.
Fabio
Lo consiglierei alle amiche cui piace l'introspezione, lo psicodramma, non certo ai bisognosi di azione, sangue e sparatorie! Senza scherzi, bisogna armarsi di pazienza, ma è un libro che può dare belle sensazioni a chi apprezza la libertà del pensiero, l'analisi interiore. Al Killer so per esperienza che causerebbe un'orchite fulminante, ma certe volte non è sbagliato anche fermarsi a riflettere. Del resto la serie della Malin Fors in patria è già arrivata alla quarta uscita, qualche merito ce lo deve pur avere questo Kallentoft.
Mi trovi d'accordo. E' un buon libro al quale toglierei, però, un centinaio di pagine. Ma si tratta, naturalmente, di gusto personale.
Fabio
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