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mercoledì 7 settembre 2011

Intervista a: Massimo Maugeri (Viaggio all’alba del millennio - Perdisa Pop, 2011)


Massimo Maugeri nasce a Catania nel 1968. Collabora con le pagine culturali di vari magazine e quotidiani e scrive. Suoi racconti sono stati pubblicati su riviste letterarie e in collettanee. Il romanzo ’Identità distorte’ (Prova d’Autore, 2005) ha vinto il Premio Martoglio ed è stato finalista al Premio Brancati. Ha ideato e gestisce il lit-blog Letteratitudine. Nel 2008 ha pubblicato il volume ’Letteratitudine, il libro - vol. I - 2006-2008’ (Azimut). Ha curato la raccolta di racconti ’Roma per le strade’ (Azimut, 2009). Di recente ha pubblicato il racconto lungo ’La coda di pesce che inseguiva l’amore’ (Sampognaro & Pupi, 2010), scritto a quattro mani con Simona Lo Iacono, e il saggio/reportage sul libro elettronico intitolato ’L’e-book è (è?) il futuro del libro’ (Historica, 2011).
Il suo libro più recente, "Viaggio all’alba del millennio" (Perdisa Pop, 2011), è una raccolta di racconti caratterizzata da una miscellanea di generi, di toni e registri stilistici che ci raccontano un’Italia complessa, a tratti patologica, surreale eppure attualissima. Ho fatto quattrochiacchiere con lui sia sul libro sia sul mondo della scrittura.

Corpi Freddi: “Viaggio all'alba del millennio” è una miscellanea di racconti differenti tra loro sia per tema che per tono stilistico, tutti comunque accomunati da uno sguardo diretto su quell’alba ingannevole – sembra quasi un tramonto – che è l’inizio del nuovo millennio. Com’è questo sguardo: impietoso, amareggiato, cos’altro?

Massimo Maugeri: È uno sguardo realistico e, al tempo stesso, visionario. È forse amareggiato, ma non impietoso. Si sforza di essere acuto, al fine di individuare alcune delle contraddizioni di questo nostro tempo, ma senza rinunciare alla speranza.
L’inizio del nuovo millennio ha risentito di una accelerazione senza precedenti nella storia dell’umanità. Almeno per quanto concerne la comunicazione e lo sviluppo tecnologico. Dunque nuove ansie e contraddizioni si sovrappongono a quelle ancestrali, che sempre rimangono. Io sostengo che è importante riconoscerle. È il primo essenziale passo per capire se c’è qualcosa che non ci piace e per attivare i conseguenti processi di cambiamento. La sensazione, invece, è che spesso finiamo con l’essere coinvolti in una corsa senza fine che non ci facilita nel compito di riconoscere ciò che è buono, o migliore, o più giusto per noi.

CF: Hai affrontato alcune debolezze nodali della nostra epoca. Cominciando dall’uso distorto che si fa del terrorismo come, appunto, “arma di terrore” portata avanti non dall’estremista mai dai mass media. Cosa c’è di alterato, nella comunicazione di oggi?

MM: Molti di questi racconti sono “giochi di specchi” che puntano a mettere in risalto la crisi di identità, la difficoltà a riconoscere gli altri e le loro vere esigenze… ma anche la difficoltà riconoscere noi stessi e le nostre vere esigenze. Nel primo racconto, a cui fai riferimento nella domanda, il protagonista sale su un aereo e, oltre a essere assoggettato all’atavica paura di volare, deve fare i conti con l’ansia da attentato terroristico nel momento in cui crede di riconoscere un possibile kamikaze. Solo che la realtà, come scoprirà a sue spese, non è sempre come appare a prima vista. Questa difficoltà a riconoscere e a riconoscersi, insieme alla difficoltà a comunicare, emerge un po’ da tutti i racconti.
Mi chiedi cosa c’è di alterato nella comunicazione di oggi… Be’, oltre che di “alterazione” parlerei anche di “paradosso”. Dal punto di vista individuale, oggi, è innegabile che le tecnologie e i nuovi media abbiano facilitato l’incontro con l’altro, le possibilità di contatto, di discussione, di confronto. Eppure, fino a che punto riusciamo a raccontare davvero noi stessi? Fino a che punto riusciamo a cogliere cosa l’altro intende davvero dirci? L’impressione è che, a volte, più o meno consapevolmente, finiamo con il recitare delle parti che ci troviamo cucite addosso in una sorta di esasperazione del doppio pirandelliano.
Dal punto di vista collettivo, se da un lato l’esplosione della comunicazione (penso a Internet, ma non solo) rende più difficile – se non impossibile – tenere nascoste notizie o verità “scomode” a qualcuno, al tempo stesso le possibilità di strumentalizzazioni si sono moltiplicate. In definitiva, se in passato la comunicazione era un terreno brullo, oggi – in alcuni casi – è una selva in cui non sempre è facile districarsi.

CF: Uno dei molti temi che tocchi è quello del razzismo. In un tuo racconto un incidente diventa occasione per annullare le distanze e ridurre le intolleranze verso l’alterità. Credi che lo scrittore possa contribuire, anche in minima parte, a cambiare il mondo?

MM: Credo che ciascun essere umano possa contribuire, anche in minima parte, a cambiare il mondo. E quando parlo di mondo mi riferisco in prima istanza al microcosmo in cui ciascuno di noi si trova a vivere. Del resto, il mondo inteso in senso ampio non è altro che la somma, l’incrocio, e la reciproca incidenza dei vari microcosmi.
In tal senso, lo scrittore possiede uno strumento in più rispetto agli altri: quello della parola scritta utilizzata nell’ambito di una narrazione.
Il racconto a cui fai riferimento traccia, in breve, lo scenario di un “viaggio della speranza” compiuto da un gruppo di eritrei verso la mitizzata Europa. Un racconto breve che mette insieme morte e voglia di vivere, paura e speranza. Alla base del razzismo c’è sempre la paura del “diverso da sé”. Ti riporto un breve passaggio, riferito a uno scambio di vedute tra un ragazzino e un uomo: “Il ragazzino gli chiese se aveva paura del nuovo mondo. Gli rispose che non era importante avere paura, ché la paura è solo un vento dell’anima.
Bisogna andargli incontro e affrontarlo di taglio”.

CF: Una citazione da un racconto a scelta

MM: Il racconto finale si intitola “La città di Elio Fante” ed è dedicato a Catania: la mia città. Ti riporto un breve brano dove il protagonista riflette sui matti urbani.
Ma chi è matto? E chi è savio? I savi non si stancano mai. Corrono e corrono. Convivono con l'emicrania cronica, con la gastrite nervosa, con l'ulcera duodenale, con il reflusso gastrico, con attacchi di panico più o meno latenti. Devono fare i conti con il sistema. Con i ritmi vorticosi di questa società che li porta a essere vittime e fautori di un subdolo meccanismo che avviluppa tutto. Savi. Ma non salvi. Un po' li invidio, i matti urbani. Darei nonsocché per capirne il segreto. Per vedere cosa si nasconde dietro quei sorrisi eterei rivolti al nulla. O dietro quelle asciutte lacrime di solitudine. Che genere di esperienza li ha resi così insensibili al reale? Che genere di dolore ha dato origine a quei sorrisi istintivi? E qual è la porta? Dov'è il passaggio che collega una sponda all'altra? In che tratto del guado mi trovo io?

CF: La tua antologia esula dai generi, ma racchiude al contempo più generi. Essendo tu uno dei personaggi più attivi sul web, ti sarai accorto senza dubbio del grande seguito che riscuote oggi il genere noir. Secondo te perché?

MM: È vero. Questi racconti hanno un taglio letterario “trasversale”, perché incrociano più stili, linguaggi e “possibilità narrative”.
Per quanto riguarda il noir è innegabile che questo “genere” abbia giocato un ruolo fondamentale, perché più di altre forme letterarie ha consentito di raccontare i mali e le distorsioni della società contemporanea. Poi, forse, annusato il “filone” vincente, se ne è abusato un po’. A volte a discapito della qualità. Ma è normale che sia così. Sarebbe strano il contrario. In ogni caso di ottimi noir se ne pubblicano ancora oggi. Ed è questo che conta.

CF: E perché, d’altro canto, c’è chi considera la non appartenenza a un genere appannaggio delle alte sfere della letteratura, mentre relega ai gradini più bassi la letteratura di genere?

MM: Su questo punto ho già espresso la mia opinione in altre occasioni: la qualità e la longevità di un libro prescinde dalla sua appartenenza (o non appartenenza) a “generi” e “correnti”.
Credo che la grande vera differenza la sancisca il tempo (giudice severo e, molto spesso, giusto): ed è quella tra i libri che rimangono (e che sopravvivono ai loro autori) e quelli che farfalleggiano durante il ciclo breve ed effimero di una stagione.

CF: Letteratitudine è un open-blog da te seguito, fondato nel 2006, frequentato da scrittori, lettori, librai, insomma: appassionati di letteratura. Un momento in cui hai avuto una grande soddisfazione e un momento in cui hai avuto una grande delusione.

MM: La prima grande soddisfazione è stata quella di vedere crescere il blog settimana dopo settimana, mese dopo mese, con l’aiuto di tutti i frequentatori (scrittori, lettori, critici, giornalisti, librai, ecc.). Vederlo sfociare in una trasmissione radiofonica di libri e letteratura molto seguita. E constatare, a un certo punto, che la crescita aveva oltrepassato i confini nazionali. Nel luglio del 2009, per esempio, proprio in merito all’esperienza del blog, sono stato intervistato telefonicamente da SBS, un prestigioso network nazionale australiano che trasmette anche programmi in lingua italiana. In quell’occasione ho scoperto di avere un grande seguito anche all’estero. Ecco, forse la soddisfazione più grande è stata questa.
Per il resto, posso dire di non aver mai avuto grandi delusioni. Stanchezza, sì. Tanta. Perché gestire una realtà come Letteratitudine implica un impegno che – a volte – è totalizzante. Ma ho imparato a “staccare la spina”, quando la soglia di stanchezza supera certi limiti.

CF: Il web e il confronto onesto e civile. Come procedi, cosa imponi, cosa vieti nelle lunghe discussioni che seguono i tuoi post?

MM: Nelle discussioni che propongo, il confronto onesto e civile è essenziale. Molto spesso parlo di “condivisione”, ma per poter condividere davvero è necessario il rispetto reciproco. Nella colonna di sinistra del blog è riportata la seguente dicitura: “La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela”.
Mi assumo la responsabilità di moderare le discussioni che propongo, applicando – all’occorrenza – la suddetta “avvertenza”. Devo dire, però, che i miei interventi in tal senso sono stati davvero rarissimi. E ogni volta che ho proceduto, l’ho fatto solo dopo aver spiegato agli interessati, con molta pacatezza, - e, in genere, privatamente - le motivazioni di eventuali tagli, modifiche o rimozioni.

CF: Se tu, anziché all’alba del millennio, facessi una breve incursione al tramonto di questo terzo millennio, che messaggio lasceresti a quelle che sono le generazioni del futuro?

MM: Consiglierei di leggere. Di leggere tanto. Perché la lettura è il cibo della mente.
Insomma, cari amici che vivete al tramonto del terzo millennio, continuate pure a vivere in mezzo a film, concerti e spettacoli sportivi olografici. Non rinunciate ai vostri viaggetti negli spazi siderali. Usate pure il teletrasporto e continuate a conversare con i vostri “computer emotivi” e umanoidi di fiducia. Ma - mi raccomando - trovate il tempo di leggere. Non importa in che modo: su un ebook reader, attraverso un microchip collegato direttamente al cervello, o con caratteri che si fissano su una parete virtuale d’aria. Magari qualcuno di voi, ogni tanto, si recherà in qualche museo del libro… e si toglierà lo sfizio di leggere su carta.
Ottimo. Comunque sia, non rinunciate alla lettura per nulla al mondo.
E se qualcuno di voi dovesse accorgersi di vivere in una sorta di “inferno dei viventi”, consiglio di applicare senza esitazioni la regola calviniana che attraversa i racconti di cui ho discusso con Marilù nell’ambito di questa chiacchierata, che è la seguente: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Un caro saluto a tutti voi dall’alba del millennio.


Intervista di Marilù Oliva

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