“Un tipo tranquillo” di Marco Vichi (Guanda, 2010) racconta in terza persona un pezzo di vita – quella più assurda e inaspettata – di Mario Rossi, che lavora come contabile a Scandicci. Un uomo di 62 anni in apparenza ordinario a partire dalle stigmate del nome, Mario, e del cognome, Rossi: i più diffusi sul suolo italiano. Un nome che è proiezione di una vita tranquilla, una famiglia standard, una moglie, Gisella detta Lella, due figli ormai grandi, Simona e Francesco, e due nipotini.
Abituato a rintanarsi nel suo buco (una stanza in cui ascolta Rossini, seduto su una poltrona marrone) estraniandosi da un mondo usuale, piatto, monotono, il signor Rossi si lascia trascinare dall’esistenza pur avvertendo, a volte, una cattivo umore: «Come mai si sentiva così cupo? Per quale motivo? A momenti gli sembrava quasi di essere sul punto di scoprirlo, poi tutto si annebbiava».
Un’atmosfera di calma apparente scandisce i momenti quotidiani, lasciando il lettore sospeso, nell’attesa che accada qualcosa. Perché qualcosa accade, realisticamente, in un crescendo sapiente, con una narrazione – quella nitida e diretta propria di Vichi, a tratti evocativa, a tratti immediata – che cala dal momento introspettivo del protagonista e dei suoi dubbi a quello extradiegetico di quando si confronta con lo spicchio di mondo esterno, in primis nei dialoghi.
E, nel frattempo, la percezione fisica che il protagonista ha di sé è solo la proiezione di una più profonda e insoluta insoddisfazione: «Guardandosi allo specchio si sentì avvolgere dalla tristezza. Anche lui era brutto. Una specie di mostro. La faccia gonfia e arrossata, piena di venuzze bluastre. Dietro alle lenti, due occhi enormi e lucidi di febbre. I capelli radi, di un colore indefinibile che faceva pensare alle foglie marce».
Un lutto in famiglia sopraggiunge come evento spartiacque tra il prima definito e il dopo in dissolvenza, tra la vita piatta preconfezionata in canoni imposti e un nuovo orizzonte, sempre grigio, ma condito del senso euforico della libertà, del desiderio di poter disporre della propria vita arbitrariamente, una sensazione eccitante ma pericolosa che porterà Mario Rossi prima a Roma, in seguito a Parigi, mentre pian piano si spoglia dei suoi indumenti cinerei per indossarne altri metaforicamente neri, avamposti del male che scaturirà. Una grande prova non facile, dato il tema trattato, che Vichi supera egregiamente mentre, in sottofondo, fa scorrere sottovoce la domanda semplice ma amara che il contabile Rossi si pone a pagina 121: «Esistevano davvero le persone felici? E dov’erano? Cosa facevano tutto il giorno?».
Marco Vichi, fiorentino classe 1957, è autore di racconti, testi teatrali e romanzi, tra cui quelli della fortunata serie del commissario Bordelli. Tra i suoi romanzi dedicati a Bordelli cito “Morte a Firenze” (sempre edito da Guanda), che in questo 2010 ha stravinto in diverse tenzoni letterarie classificandosi al primo posto al premio Camaiore Letteratura Gialla e al Premio Azzeccagarbugli.
Nel 2010 è uscito, sempre per Guanda, il romanzo “Un tipo tranquillo” e la graphic novel “Morto due volte”.
Articolo di Marilù Oliva
Dettagli del libro
- Autore: Vichi Marco
- Editore: Guanda
- Collana: Narratori della Fenice
- ISBN: 9788860884947
- Euro: 16
- Pag: 238
2 commenti:
Per prima cosa volevo fare i complimenti a Marilù per la più che completa recensione. Mi trovo però in disaccordo sul giudizio del libro. L’ho trovato lento e noioso. La storia, che trae origine da un avvenimento traumatico, è a mio avviso “povera” da una parte nella sua banalità e sconclusionata dall’altra quando sembra voler collegare al suddetto evento traumatico il susseguirsi di azioni estreme del protagonista. Una maggiore attenzione sul passato del Sig. Mario Rossi avrebbe, a mio avviso, giovato alla narrazione. Sono andato avanti nella lettura solo per la curiosità di sapere come finiva e per la notevole capacità di scrittura di Vichi.
Bene, quando leggo due pareri contrastanti su un libro, mi incuriosisco ancor di più. Inoltre per me 'lento' non sempre vuol dire noioso, quindi magari se lo trovo, provo a leggerlo.
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