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domenica 24 ottobre 2010

La morte del noir e il futuro della narrativa in alta definizione




Marsilio Editori è lieta di presentare il J.A.S.T. Blog Tour, il primo blog tour letterario che abbia luogo in Italia, organizzato per l’uscita di J.A.S.T. - Just Another Spy Tale, un avvincente e innovativo romanzo collettivo scritto da Lorenza Ghinelli (rivelazione italiana alla recente Fiera del Libro di Francoforte), Simone Sarasso (uno dei più talentuosi autori noir della nuova generazione) e Daniele Rudoni (fumettista che lavora per Sergio Bonelli e Marvel America).


La morte del noir e il futuro della narrativa in alta definizione
Ovvero come TV e fumetti salveranno il culo al “genere”
di Simone Sarasso

Periodicamente, sulla stampa specializzata e non, si assiste alla morte prematura del genere. Parliamo del Noir, tanto per capirci, quella macroetichetta che ha fatto la fortuna dei migliori scrittori italiani degli ultimi quindici anni. Che il Noir sia effettivamente morto o meno, è questione piuttosto sterile da dibattere.
Un po’ perché i tempi della letteratura sono generalmente più lunghi di quelli della vita normale (i libri sopravvivono agli autori, si continuano a pubblicare tonnellate di volumi “di genere” anche quando il genere è sepolto da un pezzo) e un po’ perché un epitaffio sulla tomba di chicchessia aggiunge poco alla storia e alla memoria del suddetto chicchessia.
Al “coccodrillo” di situazione (Dopo lunga e penosa agonia si è spento in un lago di sangue il Noir. Ne danno accorato annuncio scrittori e lettori dagli occhi pesti d’inchiostro) preferisco un gesto di speranza. E al banale mazzo di fiori da far appassire accanto alla lapide,la proverbialeopera di bene: un suggerimento, una speranza per il futuro.
Ok, la generazione di autori a cui appartengo (e anche quella precedente, che ci ha insegnato il mestiere) deve tantissimo al poliziesco, al giallo, al nero. I nostri biberon erano zeppi di sangue e i primi passi della nostra vita letteraria li abbiamo mossi sulla scena del crimine. Sempre attenti a non calpestare bossoli, sempre indosso quei dannati puzzolenti guanti di lattice.
I nostri eroi erano poliziotti, magistrati, poliziotte, investigatori per caso, sbirri drogati, drogati che non si sono mai sognati di fare gli sbirri, ex contestatori, ex picchiatori, giornalisti, scrittori, maestre, tate, villani.
Abbiamo indagato dalla Bassa alle Prealpi, dal Tevere al Salento, passando per Napoli e Rovigo.
Ci siamo convinti (a ragione) che Milano, Roma, Bologna o addirittura Cagliari possono essere lugubri e affascinanti quanto Londra, Buenos Aires o New York.
Ci siamo riempiti occhi, bocca e cuore di storie “nostre”, così “nostre” da diventar nostrane.
L’abbiamo fatto per quindici fottuti anni.
Perché l’intuizione era buona. Perché una lente oscurata fa vedere meglio il mondo, permette di guardare il sole dritto negli occhi.
Poi, però, tutto è andato a puttane. Perché è così che vanno le cose. Il sangue è diventato di moda, gli scaffali si sono riempiti di copertine tutte uguali, con quella maledetta pistola sempre in primo piano.
Le storie hanno cominciato a lanciare echi imbarazzanti, da pagina a pagina.
E non parlo di quelle assonanze che facevano venire la pelle d’oca, di quei rimbalzi di frequenza tra libro e libro, tra autore e autore, che c’inorgoglivano come lettori. Ci rendevano fieri delle ore trascorse in mezzo alla carta. Della conoscenza approfondita di ogni singolo personaggio, di ogni sfumatura, ogni rimando.
No, non sto parlando di cortocircuiti, ma di sovraccarichi, gente.
Di fottuti déjà vu ad ogni angolo di strada (di pagina). Di ripetizioni, di cliché, di poche idee vetuste e stiracchiate. Delle gabbie dei dilettanti, spalancate e pronte a vomitare carne da stampa.
Purché sia noir!, gridava l’editore invasato. Basta che ci siano il morto ammazzato e il pulotto alcolizzato!
E i risultati, signori e signore, stanno sotto gli occhi di tutti.
La guerra dei cloni, chiedete a Yoda, non fa bene a nessuno.
L’infinita riproduzione fotostatica sbiadisce l’originale. Non lo ravviva, sentite a me.
È così che finiscono le belle storie: a forza di raccontarle (male).
È così che il Noir (o il tizio che chiamavamo con quel nome) se n’è andato.
Dunque? Piangere a dirotto e scrivere l’epitaffio o guardare avanti?
Per come la vedo io, scrivere è un po’ come camminare: a forza di battere lo stesso sentiero finisce che inciampi, o semplicemente ti rompi le palle.
Se vuoi innovare, se vuoi scoprire qualcosa di diverso sulla strada (e magari anche su te stesso), meglio cambiare itinerario.
È questo, secondo me, che occorre fare (e che molti autori stanno già facendo: penso ai romanzi storici di Lucarelli o De Cataldo, alle poderose, magnifiche inversioni di marcia di Genna, agli assi nella manica di grossi calibri come Fogli, Nino D’Attis, Biondillo) per superare il genere: aprire gli occhi, guardare altrove. Possibilmente avanti.
Il nero, il Noir, con tutte le sue codifiche, i suoi stilemi infinitamente riproducibili, è una via per leggere il reale. Ma, fortunatamente, non la sola via. Per molti anni, la letteratura italiana di genere è stata una lente d’ingrandimento attraverso cui osservare passato, presente e futuro di questo stramaledetto, malandato, magnifico paese. Attraverso quello sguardo oscuro abbiamo capito molte più cose dell’Italia di quante ce ne fossero mai state spiegate da insegnanti, telegiornali, preti e libri di scuola.
Ma, fortunatamente, non c’è solo il marcio. Non esiste solo il lato oscuro della merdosa medaglia.
C’è altro, là fuori, ci sono modi nuovi e diversi di scrutare, di narrare, di sentire. Una grande lezione di svecchiamento degli antichi, sordidi, tarlati costrutti narrativi arriva (guarda caso) da Mamma America.
Si pensi per esempio al rinnovamento che in casa Marvel hanno subito polverose icone supereroistiche col progetto Ultimates o con il ciclo di Captain America (quello della morte e resurrezione di Cap, per intenderci) di Brubaker.
Oppure, se ci si vuole invece tenere alla larga da ambiti affetti da pesante nerdismo e navigare verso la cultura popolare nuda e cruda, si presti attenzione all’innalzamento qualitativo apportato dai serial all’intrattenimento di massa.
C’erano una volta i telefilm: passatempi da pomeriggio, o da prima mattina. Nella migliore delle ipotesi, fogliettoni da giovedì sera (non fate i finti tonti e, soprattutto, le finte tonte: avete trascorso i migliori giovedì della vostra vita a spiare Dylan che metteva le corna a Brenda con quella zoccoletta di Kelly) o macabri e stralunati costrutti metafisci per adepti (ma di Twin Peaks ne nasce uno ogni trent’anni…).
Poi, senza avvisare nessuno, è cambiato il secolo, e d’un botto pure il millennio.
Ed ecco la trasmutazione: il telefilmtrasfigura in serial. E di colpo diventa una cosa “da grandi”. Con spazi narrativi inimmaginabili per il cinema e, a volte, persino per la letteratura. Soluzioni mature, personaggi tridimensionali, scelte di tempo epiche.
Pensate all’impatto di LOST (non al finale, vi prego…) sul pubblico. A come le prime tre serie hanno incollato al televisore un miliardo di spettatori. Ai flashback, ai flashforward. Alla sfida proposta in termini di storytelling. Pensate a Prison Break, alla potenza di un’idea tanto semplice (la fuga) e alla complessità della sua realizzazione puntata dopo puntata (la prima serie è un autentico capolavoro d’orologeria). Per non parlare di Battlestar Galactica, che ha completamente rivoluzionato la fantascienza contemporanea mischiandola al grande cinema di guerra, alle atmosfere claustrofobiche del thriller, alle riflessioni dure e amare del postapocalittico. O a quel capolavoro di Dexter, che ha letteralmente rivitalizzato un personaggio letterario morto e sepolto, estrudendolo oltre gli asfittici confini della pagina.
Le produzioni seriali e i fumetti mainstream d’oltreoceano ci hanno mostrato una pluralità di soluzioni narrative nell’orizzonte di due media che versavano in pessime condizioni di salute.
Quella è la direzione in cui, per come la vedo io, occorrerebbe guardare per fare un passo avanti nell’innovazione del Noir.
Un tentativo in questo senso, un esperimento di ibridazione narrativa, è il nostro J.A.S.T. (che, di fatto, ripropone in pagina plurimi stilemi tipici del serial) ma questo è solo un esempio. Uno dei mille sentieri percorribili.
Immaginate di andare oltre, di espandere l’indagine su scala planetaria, o di usare la morte (il delitto) come metafora della condizione umana (lo ha fatto lo splendido The Walking Dead di Kirkman, fumetto che la notte di Halloween prossima ventura debutterà sul piccolo schermo), di cercare le prove nei meandri dell’esistenza di tutti i sospetti (LOST, Caprica), di scavare così in profondità alla ricerca del colpevole da scorgere, in fondo al pozzo, la propria immagine riflessa (Dexter). Immaginate di narrare (o di leggere narrazioni) che non hanno paura dei sobbalzi temporali, degli incastri descrittivi, della moltiplicazione dei piani narrativi.
Immaginate, signore e signori, di scriveree di leggere in alta definizione.
Quando vi troverete nel bel mezzo della storia e sentirete le parole fischiare come proiettili sopra le vostre teste, vi volterete indietro e scorgerete un puntino nero, sbiadito, a un passo dall’orizzonte.
Quel puntino, signori e signore, sarà il cadavere del caro vecchio Noir.
Ma allora nessuno, ma proprio nessuno, verserà più nemmeno una lacrima per lui.

Articolo di Simone Sarasso

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6 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Sarasso
molte delle cose che scrivi le ho già evidenziate in "La semplicissima arte del delitto" (lasciami fare una vergognosa autocitazione) e dunque non posso che essere d'accordo con te. Così come mi trovo in sintonia con l'esplorare nuove soluzioni al noir che moribondeggia. Il fatto essenziale per il sottoscritto rimane, comunque, IL LINGUAGGIO con il quale si può sempre reinventare qualcosa di nuovo anche su un terreno già arato millanta volte.
Fabio Lotti

Simone Sarasso ha detto...

Caro Fabio,
non è più SOLO questione di linguaggio (anche se è SEMPRE questione di linguaggio). Per come la vedo io, urgono innovazioni narrative. Serve il coraggio di battere strade differenti, di stupire, di sperimentare. Di cambiare quella dannata squadra anche (e soprattutto) se vince.

Anonimo ha detto...

In bocca al lupo, rsgazzi!
Spero di vedere qualcosa di nuovo prima che sia scaraventato nella fossa...:)
Fabio Lotti

Anonimo ha detto...

Quindi, affrettatevi...:)
Fabio

Luca Conti ha detto...

Ma com'è che negli USA nessuno parla mai di malessere, agonia o morte del noir (e ogni anno spuntano fuori nuovi, sorprendenti scrittori in grado di rivitalizzare il genere?) Com'è che della morte del noir si parla soltanto in Italia? Non sarà perché decine e decine di scrittori nostrani hanno voluto affrontare il genere soltanto perché, a un certo punto, "tirava" ma, in realtà, non poteva fregargliene di meno? Non sarà che la pessima situazione attuale del noir italiano dipende forse da un sostanziale disinteresse di molti scrittori per ciò di cui scrivevano?

Ciao Simone, un caro saluto
luca

Anonimo ha detto...

Sinceramente mi aspettavo qualche intervento.
Fabio