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sabato 9 ottobre 2010

Detectives! - Fabio Lotti

Illustrazione di Jon Keegan

Vado a ruota libera. Una carrellata veloce tra qualche detective che ho conosciuto lungo la mia entusiasmante avventura libresca. Così istintiva, come viene viene, ripescando in qua e là nei miei ricordi e nei miei scritti, per offrire qualche spunto ai lettori meno smaliziati. Senza la pretesa di scrivere qualcosa di nuovo per gli esperti, che tutto è saputo e risaputo.
In principio fu il Verbo, cioè Edgar Allan Poe, cioè Auguste Dupin. Verso gli anni sessanta veniva ogni tanto a fare visita nel mio paese Staggia il cosiddetto pulmino della cultura popolare, provvisto di libri di vario genere da dare in prestito, per cercare di interessare in qualche modo alla lettura noi ragazzacci di strada. Io diverse puntatine ce le facevo (di nascosto per non essere considerato un secchione), anche perché trovavo sempre qualcosa che stuzzicava la mia curiosità. Ed è proprio su questo pulmino polveroso che ho fatto il mio primo incontro con Edgar Allan Poe e “Gli assassinii della Rue Morgue”, pubblicati dalla BUR con una copertina grigiognola che metteva tristezza solo a guardarla. E il primo impatto con Dupin è stato ambivalente. Troppo sofistico, troppo arzigogolato, troppo matematico! E nello stesso tempo così intrigante, così complesso, così inquietante! Mamma mia bella, me lo divorai in quattro e quattr’otto senza capirci un granché. In seguito lo avrei adorato e nello steso tempo strozzato.
Su Sherlock Holmes non la faccio lunga, così come per gli altri più conosciuti: alto, slanciato, occhi acuti, naso un po’ aquilino. Fuma la pipa, suona il violino, porta sempre con sé una lente di ingrandimento, indossa un soprabito scozzese con relativa mantellina e un cappello da cacciatore. E’ metodico e preciso nelle indagini, acuto osservatore, mirabile nelle deduzioni. Con un’occhiata sapeva dirti se eri stato in Giamaica oppure al gabinetto per colpa di un abbacchio andato a male. E questo fatto all’inizio da una parte mi ammaliava e dall’altra mi faceva incazzicchiare, perché io ero e sono talmente distratto da non accorgermi neppure se chi mi saluta è un essere umano o una scimmia (ho esagerato apposta. Se la mano è troppo pelosa me ne accorgo). Quando scoprii per la prima volta che un paladino della giustizia si comportava come un depravato cocainomane, mi venne un colpo. Ma in seguito ne ho viste di così cotte e di crude per cui questa deplorevole abitudine è diventato quasi un fiore all’occhiello. Watson mi parve d’impatto un tontolone di primo pelo pronto a recepire (e me lo immaginavo a bocca spalancata) il regolare “Elementare” che mi faceva andare in bestia (perché farsi prendere sempre in giro?). Con il passare del tempo ho rivalutato il buon dottore ma non tanto da lasciargli un’aria troppo svegliotta.
Anche su Poirot solo una impressione, per non ripetere la stessa zolfa l’ennesima volta. I piccoletti mi stanno simpatici (con l’eccezione di Brunetta che mi sta lì…). Se poi hanno la testa a forma di uovo con esaltanti celluline grigie incorporate, baffi ben curati, vestiti inappuntabili, le ghette, il bastone che si porta dietro come Fido e un ego smisurato allora l’abbraccio è assicurato (non sono stato sincero. All’inizio mi sembrava un fighetto vanesio e altezzoso. Chiedo umilmente perdono). Ho trascurato i guanti (non sopporta il freddo) che mette pure nel deserto africano…
Altro personaggio indimenticabile Maigret. Avevo visto la bella interpretazione che il nostro Gino Cervi aveva fatto alla televisione del commissario transalpino, e così cominciai a fare incetta di gialli del suo autore George Simenon. Mi piacque subito quella sua aria solida, quel suo fare da buon padre di famiglia, quella sua capacità di “annusare” l’atmosfera dei luoghi e delle persone inerenti al delitto. Quel suo modo di essere semplice che lo riconduce alla realtà di tutti i giorni. Un personaggio vero che è entrato nel cuore di tutti. Basta pensare ad una pipa e ad un bicchiere di birra.
Su Nero Wolfe ho già scritto qualcosa anche sul nostro blog. E allora almeno una parte la riprendo pari pari che il tempo è denaro (mah…). Il suo creatore, Rex Stout, era stato astuto. Perfidamente astuto nella costruzione dei due personaggi principali. Nero Wolfe mostruosamente grasso e pigro, Archie Goodwin agile e scattante. L’uno fermo, inchiodato alla poltrona, l’altro in eterno movimento. Due piccioni con una fava: il giallo classico all’inglese coniugato con “l’hard boiled” americana. Il tutto servito su un piatto d’argento (frase strafatta) dove erano bene amalgamate la passione per le orchidee, per la buona cucina, per le raffinate conversazioni e la diffidenza verso il gentil sesso. Un vero e proprio capolavoro di alchimia “giallistica”.
Il più bello? Il più bello è Thorndyke via, un medico inglese creato dalla penna di Richard Austin Freeman. Bello che più bello non si può. Alto, slanciato, atletico, profilo greco, un dio sceso sulla terra (gli venisse…). Appare per la prima volta nel romanzo “L’impronta scarlatta” del 1907, un anno d’oro per il giallo. Questo medico legale non ha nulla a che vedere con gli investigatori “da tartufo” che seguono il loro intuito ma si occupa, direi quasi esclusivamente, degli oggetti e solo da loro trae quegli indizi che possono essergli utili a smascherare il colpevole. Ha una cultura molto vasta e approfondita che spazia dall’anatomia alla archeologia, dalla botanica alla egittologia alla oftalmologia ecc…Insomma una vera e propria enciclopedia vivente. Tiene sempre a portata di mano una valigetta verde in cui ci sono tutti gli strumenti e le sostanze chimiche che gli servono per i suoi esperimenti scientifici. Ecco la parola giusta “scientifico”. Freeman dà vita al romanzo poliziesco scientifico che oggi va così di moda. Per questo scrittore non importa tanto la scoperta del colpevole ma come, in che modo, con quali mezzi scientifici viene scoperto. D’altra parte lui stesso ce l’aveva con i romanzi polizieschi ricchi di colpi di scena scritti solo per lettori piuttosto ingenui (è vero, ci sono anche io).


Poi…poi potrei ricordare due personaggi creati dalla penna di John Dickson Carr, alias Carter Dickson. Dunque le sue creature sono Gideon Fell e Henry Merrivale. Anzi, a dir la verità, il primo parto fu il giudice istruttore della polizia parigina Henri Bencolin, un personaggio bizzarro dal sorriso ambiguo e crudele che non ebbe il successo degli altri . Il dottor Gideon Fell fa la sua comparsa nel 1933 con “Il cantuccio della strega” e Henry Merrivale l’anno successivo con “La casa stregata” (una strega c’è sempre di mezzo…). Il primo è un omaccione di 120 (centoventi!) chili con dei baffoni pittoreschi ed un naso piccolo sul quale sono stanziati degli occhialini a pince-nez legati da un nastro di seta. Fuma sigari e pipa, beve birra, indossa un grosso mantello e un cappellaccio di feltro nero. Una specie di bandito, insomma. Un bandito scoordinato e disordinato. Inciampa, impreca, tossisce rumorosamente, parla a voce alta, ripete più volte le stesse domande tanto da apparire imbranato, geme, si intenerisce. Più che istintivo un concentrato di istintività esterna e un concentrato di razionalità interna. Praticamente un genio nello scoprire i colpevoli.
Anche Henry Merrivale è dotato di una discreta stazza, ma ha un caratterino che te lo raccomando! Arcigno, scontroso, irritabile per un nonnulla, mastica tabacco, è calvo, porta occhiali dalla montatura di tartaruga. E’ un avvocato, sottaniere impenitente sposato con una ex ballerina. La sua specialità è il delitto della camera chiusa che allora andava tanto di moda. Sembra proprio che Carr avesse un debole per lui.
Continuando con i personaggi alla Enzone, ergo fisicamente straripanti (un saluto al Boss!), c’è l’ispettore francese Gabriel Hanaud di Parigi di Alfred Mason (il quale Mason affermava che le caratteristiche fisiche di un grande investigatore dovessero essere del tutto opposte a quelle di Sherlock Holmes!): capelli folti e scuri, occhi chiari, dal temperamento sanguigno ma nello stesso tempo dai modi dolci e suadenti che quasi invitavano i rei a confessarsi. Come dichiara una giovane dama che appare nel romanzo “Delitto a villa Rose” del 1910 avere vicino il suddetto ispettore è come avere accanto “un grosso, caldo Terranova”. Questo personaggio, tuttavia, non avrebbe a mio parere, il giusto rilievo senza la presenza della “spalla” Julius Ricardo, un omiciattolo segaligno con il pince nez sul naso, sofisticato e pignolo all’inverosimile.
Wilkie Collins nasce a Londra nel 1824, figlio di un noto pittore di paesaggio. Sarebbe forse rimasto nell’anonimato se non avesse incontrato nel 1851 Charles Dickens con il quale fa subito amicizia, collaborando spesso insieme con articoli e racconti ad un periodico londinese. Nel 1860 scrive il suo primo romanzo “La signora in bianco”, che ha un notevole successo. Solo otto anni dopo (si fa per dire) scrive “La pietra di luna”, pubblicato a puntate su “All the Year Round” diretto proprio da Dickens. E qui nasce il sergente Cuff: piuttosto anziano, dai capelli brizzolati, magro da far paura, vestito di nero con una fascia bianca intorno al collo, la faccia affilata, gli occhi grigi, passo silenzioso, voce malinconica, dita da artiglio.
Un tipo da brivido che non avrebbe sfigurato nella famiglia Adams ma molto sagace, capace di sfruttare osservazioni e azioni all’occhio comune del tutto enigmatiche. Capace, anche, di una certa autocritica, il che lo rende più umano e in un certo senso più simpatico del grande Holmes.
Il sergente Cuff, dopo che si è ritirato dal servizio, ha un debole per le rose rosse che coltiva con passione (tenta sempre qualche innesto particolare) e questo può essere stato lo spunto per Rex Stout quando ha creato Nero Wolfe innamorato pazzo delle orchidee.
Due aristocratici:Lord Peter Wimsey e Philo Vance. Il primo è una creatura della scrittrice inglese Dorothy Leigh Sayers nata ad Oxford nel 1893. Donna di profondi studi e di grande cultura- ha perfino tradotto in inglese quasi tutta (o tutta? Non ricordo bene) la “Divina commedia”- porterà nel romanzo poliziesco quella abilità letteraria che le era quasi connaturata. Nel 1923 scrive “Peter Wimsey e il cadavere sconosciuto” capostipite di una lunga, lunghissima serie di romanzi e racconti polizieschi che hanno per protagonista questo celebre personaggio. Notizie più particolari sulla sua vita le abbiamo dallo zio Paul Austin Delagardie, richiesto dalla stessa Sayers “di riempire alcune lacune e correggere alcuni errori trascurabili nel suo resoconto sulla carriera di mio nipote Peter” come posso trascrivere da “Lord Wimsey e il mistero del Bellona club”, pubblicato dalla Donzelli nel 2006 con una bella veste grafica. Si sa che nasce nel 1890 e che da piccolo è “esile e pallido, molto inquieto e birichino, sempre troppo sveglio per la sua età”. Ha un coraggio “diabolico” e spesso soffre di incubi. A diciassette anni gli viene affidato e mandato a studiare a Parigi e poi a Oxford. Si innamora di una ragazzetta, parte per la guerra, salta in aria per lo scoppio di una granata e al suo ritorno in patria se la ritrova sposata con un altro (un classico).
Un aristocratico che vanta illustri discendenti nobiliari, raffinatissimo, snob come quasi tutti i nobili e i raffinati, colleziona incunaboli e libri rari (dei quali la Sayers se ne intende, eccome), esperto cavallerizzo, adora la musica, la storia, ma soprattutto la criminologia. Porta un monocolo, in realtà una lente molto potente, un classico bastone da passeggio un po’ particolare, perché dentro contiene una lama di spada e il pomo una bussola. Tiene sempre con sé una scatola portafiammiferi che altro non è se non una pila. Il suo stemma di famiglia, poi, è tutto un programma. Provate un po’ ad indovinare? Scudo in campo nero con tre topi che corrono color argento sormontato da un gatto rampante con il motto “A mio capriccio” (difficile eh?)
Bene, se andiamo a vedere Philo Vance creato da S.S.Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright, possiamo notare diversi lati in comune. Anche lui è uno snob con la puzza sotto il naso (seppure mancante di un titolo nobiliare) e discretamente cinico, ricercato nel vestire, porta anch’egli un monocolo (vero, però), appassionato collezionista di opere d’arte, di stampe cinesi, di tesori egizi. Non ricordo che ami cavalcare ma sono sicuro che si diletta di scherma ed è un eccezionale giocatore di poker e, soprattutto, di scacchi (sono un fissato…). Ecco la presentazione “Vance era quella che molti avrebbero definito una persona frivola e superficiale, ma una simile definizione sarebbe ingiusta. Era un uomo dotato di una straordinaria cultura e di una mente brillante. Aristocratico per nascita e istinto, teneva se stesso rigorosamente distaccato dal mondo in cui vivono le persone comuni. Nel suo modo di fare era presente un'indefinibile forma di disprezzo per l'inferiorità in qualsiasi sua manifestazione”.
Aggiungo John Aswin, professore di sanscrito nell’università di Berkeley creatura di Anthony Boucher, suo vero nome William Anthony Parker White, il critico sapientone che sapeva di tutto e di tutti. Nel 1937 scrive “Il caso del sette del calvario” che ha un notevole successo e in cui si trova il nostro Aswin. Ha una sua spalla in Martin Lamb, studente al terzo anno del suo corso. Primi accenni. Piuttosto imponente e con una voce profonda. Innamorato della poesia, “In tutta la letteratura…ho trovato solo tre versi metrici che posso leggere indefinitivamente senza stancarmi: il verso sciolto inglese, l’esametro greco e latino, e lo sloka sanscrito”. Ma anche appassionato di gialli. Come Martin dopotutto. E come Martin “appassionato” di birra, di whisky (o di altri liquori, vedi il Teacher’s Highland Cream) e di sigarette. Non c’è incontro fra i due che non inizi con una sorsata di liquore e finisca allo stesso modo in una stanza ormai invasa dal fumo ( essendo asmatico, mentre leggevo mi è venuta pure la tosse). Per lui “L’alcol è il più grande amico dell’uomo. Un cane non mi è mai parso paragonabile a una buona bottiglia di scotch” (li mortacci!). Avversione per le donne dai sei anni in su (i misogini, si sa, non mancano nella letteratura poliziesca). Qualche tic alla Holmes quando si ferma a pensare preoccupato. Vanaglorioso e dal temperamento drammatico per cui sa prendere le pause necessarie a rendere più affascinante il suo discorso. Pause riempite (al solito) con whisky o sigaretta. Single o pinzo che dir si voglia. Quando Elizabeth, una sua giovane allieva, gli dice che resta simpatico alla sua mamma e chiede perché non la sposa, lui tira fuori un papero do gomma e si mette a soffiarlo uscendo indenne da una situazione critica (metodo da consigliare a tutti i refrattari al matrimonio). Dal signor Griswold sappiamo che sa giocare al biliardo e a scacchi. E questo, ormai lo sapete, me lo rende più simpatico.

Articolo di Fabio Lotti

12 commenti:

Lofi ha detto...

Complimenti Fabio! Secondo me uno fra gli articoli più interessanti che tu abbia scritto.

Anonimo ha detto...

Ti ringrazio. Ragazzi (lasciatemelo dire), non dimentichiamo mai il sorriso e, qualche volta, anche quello più goliardico e terra-terra, per ritornare, almeno per un attimo, ragazzi. Appunto.
Fabio
P.S. Sul "Riso e sorriso (soprattutto il mio) tra furti, rapine e morti ammazzati" un prossimo articolo sul blog del giallo Mondadori. Un inmvito a sorridere insieme a me.

Martina S. ha detto...

Chapeau, Fabio! E chissà quanti altri detectives ti saran venuti in mente.
Una cosa che mi son sempre chiesta... perché J.D. Carr aveva questa mania degli investigatori corpulenti?

Anonimo ha detto...

Ma guarda, ti dirò che il "grosso", il corpulento ha un'attrattiva mica male verso il lettore e il Nostro se ne deve essere reso conto. La stazza straripante mantiene sempre un qualcosa di simpatico pur se mugugna o brontola (vedi Enzo). E ti posso dire che proprio i due personaggi citati li ho inseriti come attrattiva di sorriso (per me, si capisce) nell'articolo. Mi ricordano certi esempi tipici del mio paese che anche quando si incazzavano di brutto destavano comunque una certa ilarità.
Fabio

Anonimo ha detto...

Constatazione lottiana.
Il pezzo sarà pure interessante e addirittura eccezionale, secondo le "Reazioni" a fondo pagina, ma lo share fa cacare.
Fabio Lotti

Lofi ha detto...

@Fabio: è solo che sei uscito in contemporanea con un evento importante a Mantova seguito da tanti Corpi Freddi. Insomma sei come un buon film su Canale 5 mentre su Rai1 fanno la finale dei Mondiali di Calcio. :)))
E poi Martina ed io non ti bastiamo???

Anonimo ha detto...

Sono un supercritico di me stesso. Se non riesco a interessare allora via a raddrizzar banane o a tirare le seghe ai piccioni mentre volano.
E nella piazza del Campo di Siena ce ne sono parecchi.
Fabio
P.S. Vostri interventi (anche critici) sempre graditissimi.

Anonimo ha detto...

Chiedo scusa per l'uso di certe parole.
Fabio

Cristing ha detto...

Complimenti Fabio un articolo molto interessante....

Anonimo ha detto...

Ringrazio Cristina per non avere accennato alla mia volgarità. Il fatto è che butto lì e tracimo senza accorgermene come un ragazzaccio di strada. Poi, fatto il danno, mi strozzerei. Alla prossima mi autosospendo da solo.
Fabio

Stefania ha detto...

Articolo interessantissimo, letto solo ora perché come ha riportato sopra Lofi eheh ^__^ lo scorso week end i CF erano in massa a Mantova (e non solo , lo stesso giorno iniziati anche gli itinerari noir a Roma) e durante la settimana il tempo libero scarseggia. Complimenti davvero!!!

Anonimo ha detto...

Cara Stefania
questo mi fa un enorme piacere. Sui "Detectives" spero di ritornarci prima o poi.
Fabio