La cena. Partiamo dal titolo. Mettiamo caso (limite) che un lettore non voglia leggere la trama. Concentrandosi sulla copertina, titolo e immagine, si ha la sensazione di andare incontro a una lettura comoda, conciliante, anche piuttosto sfiziosa, senza pretese, con magari qualche tocco di ironica pennellata. L’apparenza ci dice questo, l’esperienza provata pero’ viaggia nella direzione opposta, a conti fatti.
Innanzitutto la vicenda: quattro persone si ritrovano attorno a un tavolo in un ristorante di un certo prestigio, per discutere della vicenda in cui i tre figli delle due coppie si sono trovati immischiati. Sono colpevoli di omicidio, hanno prima insultato, poi umiliato, poi ucciso una donna senzatetto, la cui unica colpa era di quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ovvero a dormire all’interno di una stanza dove si prelevano soldi al bancomat.
Il corpo centrale del libro, in teoria, sarebbe da ricercare in una riflessione su un tema ben preciso, quello della baby-criminalità, degli eccessi, dell’educazione mancata, della vulnerabilità, della solitudine e degli istinti violenti degli adolescenti. Condizionale d’obbligo, perché alla fine si rivela una ghiotta occasione mancata, la cui trattazione galleggia troppo in superficie senza che l’autore abbia saputo scavare in profondità, per cercare di proporre nel concreto risposte a domande scottanti che scattano con una certa facilità e a piu’ riprese, e toccano la coscienza un po’ di tutti, specie se si tratta di episodi che rimbalzano, ahimè, oggi da un tg all’altro e da un quotidiano all’altro, con una certa presenza quasi quotidiana.
Una delle tante domande che viene spontaneo porsi , durante e una volta finita la lettura, è la seguente: fino a che punto si è disposti a voltare le spalle alla giustizia, a quello che è eticamente, moralmente, e giuridicamente richiesto dalla società, per salvare il futuro di una propria persona cara? Fino a dove si è disposti ad arrivare per proteggere il proprio figlio? Il quadro che si compone in tal senso, è un microcosmo, complesso si intuisce ma qui semplificato forse eccessivamente, in un certo senso banalizzato, quello dei quattro genitori, di fatto una famiglia allargata, composto di “mostri”, forse anche piu’ beceri in un certo senso anche rispetto alla brutalità dell’omicidio commesso dai ragazzi, che trattano, con leggerezza, la morte di un’innocente, quasi additando alla vittima la colpa di aver macchiato i loro figli di un crimine chesi cerca dapprima di nascondere, con la speranza poi che il tempo lo cancelli, per smacchiare i colpevoli da ogni colpa. Agghiacciante. Si spera a un certo punto, addirittura, che nel giro di poco possano accadere stragi con migliaia di vittime perché sui media possano questi eventi drammatici catalizzare l’attenzione e rubare la scena a quella che vede coinvolti i loro ragazzi, affinchè si possa archiviare l’intera assurda vicenda, affinchè possa passare in seconda, poi in terza pagina fino a scomparire dall’agenda della notiziabilità.
Trovo pero’ che sia un romanzo nel complesso scritto male, una sorta di puzzle con pezzi mal assemblati tra di loro, poco organico, frequenti digressioni temporali che vanno a indagare il passato dei personaggi che poco si allacciano al raccordo con il ritorno alla narrazione al presente, con un colpevole ritardo nel giungere a toccare quello che sarebbe dovuto essere il cuore dell’opera di Koch. Questo perché? Perché fin oltre metà libro ci si protrae con una sorta di introduzione fastidiosamente e inutilmente infinita che ha luogo al tavolo del ristorante, con una descrizione che di dilunga a oltranza del menu’, dei piccoli gesti compiuti a tavola, della fotografia decisamente troppo zoomata e insistita dei piatti. Questo mi ha infastidito, mi ha annoiato, mi ha quasi indotto ad abbandonare la lettura, a un certo punto. Troppo spazio a situazioni marginali, dialoghi evitabili e dilungati all’eccesso.
Questione personaggi: sono presenze mediocri di una società mediocre. Personalità insopportabili, ciniche, fredde, anche violente (sia a livello verbale, non in quanto a formulazione di turpiloqui ma al contenuto delle loro considerazioni alquanto discutibili), dalle quali si rischia di doversi aspettare di tutto. L’apparenza, che li vede, molto accurati all’immagine, a ostentare una presenza di un certo tipo, non nasconde la loro ambiguità morale, che poi a un certo punto si trasforma in un manifesto appoggio alla trasgressione delle norme sociali. Tra l’altro sono cosi’ caricati e intensificati artificiosamente da sembrare personaggi plastificati, finti, decisamente poco credibili, in molti tratti anche stereotipati. In loro non ci si riesce a immedesimare, in realtà risulta impensabile anche solamente avvicinarsi, non si riesce a stabilire alcun legame, c’e’ una sorta di barriera invalicabile. Ho provato ad addentrarmi nel libro libero da influenze, come pregiudizi, luoghi comuni e moralismi vari che è facile che affiorino. Non ci sono riuscito, sono stato rimbalzato, sono rimasto bloccato fuori.
Ho provato un enorme fastidio, quasi compatimento, quando si cerca di sgonfiare la gravità del gesto compiuto dai due ragazzi. Il loro omicidio viene quasi fatto passare come una semplice bravata, con tutta una serie di argomentazioni che sottolineano la l’impotenza e la difficoltà di comprendere insita in queste persone. Nulla di piu’. Anzi, è stata la senzatetto, a loro modo di dire, a cercarsi una fine tanto drammatica. Quindi giustificabile, a loro modo di vedere. Anche questo continuo accento, insistito, da parte dell’autore, sull’implacabilità e sul cinismo degli adulti, mi è parso fin troppo enfatizzato, da sembrare per l’appunto quasi improbabile, anche se non nego che piu’ ci si sorprende della gente e piu’ la gente ti sbatte sotto il naso la realtà nuda e cruda, quando pensavi potesse essere l’inverosimile, razionalmente impossibile.
Solo da un certo punto di vista si puo’ pensare di capirli (ad ogni modo sembra un azzardo) , ma solo parzialmente e ci si scontra con i fatti ineluttabili: proteggere il proprio figlio in qualsiasi circostanza è fisiologico per un genitore, ma questo è possibile anche a costo di scontrarsi con qualcosa di molto piu’ grande che non puo’ essere evitato? Fingere che non sia accaduto nulla, fino ad arrivare quasi a crederci fino in fondo, e sperare che tutto si sgonfi? Anche qui, c’e’ una tensione emotiva, che non è stata ben colta fino in profondità e non è stata di conseguenza sviluppata secondo i canali giusti, a mio parere. Si suggerisce di cercare di immedesimarsi in loro, di non giudicare con troppa facilità, ma la caratterizzazione dei personaggi non facilita questa immersione del lettore nelle vicende personali, intime, tempestose di queste persone.
La scrittura, l’ho trovata relativamente ai miei gusti personali, scialba, piatta, lenta, senza un’accellerazione se non alla fine. Troppo tardiva. E infatti c’è una netta spaccatura tra la prima parte del libro e la seconda, che mi ha lasciato piuttosto perplesso.
La cena è caratterizzata da una ricorrente fuga di sguardi, passati sotto la lente dello scrittore piu’ e piu’ volte , silenzi piu’ eloquenti e assordanti che mai, tensione repressa solo apparentemente, profilando un finale in cui tutte le micce inesplose rischiano di sfociare in una serie di stati di fatto irreversibili, per cui non si puo’ piu’ pensare di tornare indietro come nulla fosse.
Ma forse, quello che è stato, non tocca troppo da vicino i genitori, questi genitori, che non riescono a vedere, o almeno solo parzialmente, il loro fallimento riflettersi nei loro figli, non c’e’ mai un tentativo forte, convinto, di riaggiustare le cose se non con il “facciamo finta che non sia accaduto nulla”. Per continuare a vivere (o meglio sopravvivere, secondo il mio punto di vista), per non farsi del male, per non vedere quel castello di carta cosi’ faticosamente innalzato, abbattuto dal primo soffio di vento (che in verità assomiglia piu’ a una tempesta). E la parte finale, è emblema di un problema di fondo: la crescita dei figli dipende dall’educazione impartita dai genitori. Troppo amore , a volte, sfoca, rende miopi, e paradossalmente potrebbe complicare le cose? Ma, chi sono io in fin dei conti, per giudicare, essendo un lettore, che non ha un figlio e che non sa cosa voglia dire un legame cosi’ profondo, chi sono io per dire cosa sia giusto o sbagliato. Un’idea ce la si fa, è personale, come ovvio che sia. Come quella dei genitori di Michel e Rick, che decidono di andare avanti come se nulla fosse successo, arrivando anche a negare, in un certo senso, se stessi.
Articolo di Matteo "Andriy" Spinelli
Dettagli del libro
- Autore: Koch Herman
- Editore: NERI POZZA
- Genere: letterature straniere: testi
- Collana: Bloom
- Pagine: 286
- ISBN: 8854504009
- ISBN-13: 9788854504004
- Prezzo di copertina: € 16,00
6 commenti:
Un commento negativo, ma ben argomentato e spiegato minuziosamente. Quello che mi chiedo, però, è se lo scopo dell'autore non fosse proprio di generare nel lettore un rifiuto netto e una condanna verso questi genitori, perché è chiaro che qualsiasi persona dotata di un minimo senso morale non può approvarli.
Si è possibile Martina. Certamente si danno molti spunti di riflessione, questo è una buona cosa. Pero' un lavoro potenzialmente interessantissimo, che poteva rivelarsi un libro molto importante, è stato fatto, ahimè, con i piedi, con una superficialità che secondo me è irritante. Come buttare alle ortiche una gran bella idea pensata.
Ecco una critica ben motivata e perfetta nella sua esposizione. Matteo è molto chiaro nel descrivere le sue perplessità e ad esporre il suo personale punto di vista.
Mi piacerebbe comunque dargli una chance, la tematica è molto interessante.
Complimenti Matteo.
Grazie Marco. Comunque si bisogna sempre provare a leggere, anche se il giudizio di un singolo è negativo. Poi i gusti essendo soggettivi, possono anche creare dei giudizi anche molto diversi tra loro.
Come detto prima, potrebbero nascere parecchie discussioni interessanti dal libro, peccato che la potenzialità di questo libro non abbia visto nascere, almeno per me, siamo rimaste schiacciate nella strutturazione e nella scrittura di una vicenda che non sa nè di carne nè di pesce, che lascia freddi (almeno me). Quindi prendete le mie opinioni come un qualcosa di personale, chiaro che ognuno poi si fa una propria idea e siamo qui apposta per discutere tutti insieme. Il giudizio mio è: è una ciofeca:-))) (scusate la brutalità)
Recensione perfetta Matteo. Mi ritrovo, ahimé, d'accordo con te :-(
Portata qui dal killer Marco, posto anch'io mia recensione di oggi..convinta che non mi sento di bocciarlo, ma anzi di promuoverlo. Non come thriller (che proprio non lo è..) ma come spunto di riflessione..
http://www.anobii.com/qforum/comments?page=1#01f469476fa91bc9b5
Cecilia
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