“A Soho la circospezione è norma”. Sarà per questo motivo che nessuno ha visto l’assassino di Kate Haggerty allontanarsi indisturbato dal n. 5 di Barndon Street. Ma un indiziato c’è. Anzi, per molti “esperti legali” il vero colpevole è proprio lui. Si tratta di Arthur Groome: 32 anni una solida posizione, una moglie, di cui, a suo dire, è innamoratissimo, peraltro ricambiato e 2 figli meravigliosi. Nonostante tutto ciò, per lui quella prostituta, ridotta a pezzettini “nello stile più londinese possibile, quello di Jack lo Squartatore” come ha scritto Antonio D’Orrico, sul Magazine del Corriere della Sera (chiedo umilmente scusa al critico del quotidiano milanese ma questa frase è troppo bella per non essere saccheggiata) era diventata una vera e propria ossessione. Come se non bastasse più di un testimone aveva sentito Groome minacciare di morte Kate se non avesse cambiato vita. Lui nel corso dell’intero processo continua a proclamarsi innocente.
Ma ormai i dadi sono stati lanciati: “rien ne va plus”. I capi d’accusa sono stati pronunciati, l’imputato è stato torchiato, i testimoni sono stati sentiti, le prove vagliate, gli indizi sezionati, gli avvocati hanno concluso le proprie arringhe, il giudice ha tirato le fila del dibattimento. “Signori della corte: pronunciatevi. Colpevole o innocente ?.”
Edgar Lustgarten (1907 – 1978) avvocato, divenne famosissimo in USA, Gran Bretagna e Australia per le sue trasmissioni, inizialmente radiofoniche e poi con l’avvento del nuovo mezzo, televisive, in cui ricostruiva famosi processi conseguenti ad altrettanto celebri delitti. Tanto famoso da abbandonare ben presto la carriera forense. Una sorta di Carlo Lucarelli ante litteram insomma.
Ma a differenza del nostro connazionale, che oggi nelle sue trasmissioni televisive per far rivivere il narrato, può contare sull’aiuto di filmati o di studiate e ricercate coreografie ad hoc in studio, Lustgarten, soprattutto agli inizi alla radio, per riuscire ad evocare nell’immaginario degli ascoltatori i fatti e/o le persone protagoniste delle sue storie poteva, invece, fare affidamento solo sulla propria arte oratoria.
Evidentemente deve aver affinato e coltivato talmente bene l’abilità nell’uso delle parole che quando si è deciso di trasporle in forma scritta ha partorito un vero e proprio capolavoro narrativo in cui noi stessi siamo lì a seguire il dibattimento seduti in mezzo al pubblico dell’Old Bailey di Londra, oscillando ora per un verdetto di colpevolezza ora per l’assoluta innocenza dell’imputato. L’autore, non solo riesce a ricreare una scenografia quasi tridimensionale ma vi cala all’interno pure una rassegna di personaggi assolutamente autentici e credibili per quanto cinici. Possiamo seguire quindi dal vivo il pubblico ministero opportunista, l’avvocato difensore arrivista, il giudice pusillanime, i testimoni loquaci e quelli reticenti, la stampa famelica, l’opinione pubblica smaniosa. Su questa vera e propria “corte dei miracoli”, con una trovata geniale dell’autore, svetta quell’idra indefinita rappresentata dagli “esperti” ognipresenti in tutti i campi dello scibile umano che “sanno” e quindi giudicano, criticano, commentano e sentenziano.
I critici hanno salutato questo romanzo come un capolavoro. E io sottoscrivo in pieno. Però come nella lirica ci sono i critici e i “loggionisti”, nella letteratura “gialla” ci sono i critici e i “lettori compulsivi” . Categoria a cui mi onoro di appartenere. Chi siamo ? Siamo quei lettori mai paghi, mai rilassati, abbastanza sofistici, cavillosi, sempre lì a chiedere “chi ? come ? quando ? perché ? dove?.” Al termine della lettura quindi il primissimo pensiero è stato che lo scioglimento dell’enigma non mi aveva soddisfatto in pieno. Il finale ci sta, per carità. Soprattutto alla luce dell’intera storia, è quello più logico e possibile.Ma noi “lettori compulsivi” siamo cresciuti a pane e Agatha Christie, quella gentile e perfida dama inglese che meriterebbe di entrare nella storia del genere anche solo per l’ultimissima battuta di un altro celeberrimo racconto processuale: “Testimone d’accusa”. E quindi ve lo devo proprio confessare. Il finale di questo capolavoro personalmente mi ha fatto, leggermente storcere il naso. Sono perfettamente consapevole che questa dichiarazione potrà essere usata contro di me. Mi sono stati letti i miei diritti. Ho già dato incarico al mio avvocato difensore: S. S. Van Dine che declamerà una o più delle le sue 20 regole d’oro del giallo. E se alla fine anche questo non dovesse bastare, non mi resterà che rimettermi alla clemenza dei “Signori della corte”.
Articolo di Allanon
Dettagli del libro
- Autore: Edgar Lustgarten
- Editore: Polillo
- Collana: I Bassotti - n. 71
- Pagine: 256
- Anno: 2009
- ISBN: 9788881543397
- Euro 12,90
9 commenti:
Ottimo Alberto, davvero una bella e particolareggiata recensione. L'atmosfera è quella che mi è più congeniale, la copertina è una meraviglia :) non mi resta che comprarlo.
Sono letteralmente a bocca aperta. Alberto si conferma penna sopraffina dei Corpi Freddi e vanto redazionale.
Recensione semplicemente meravigliosa e pura delizia per un amante del mystery classico come il sottoscritto.
Da premio Pulitzer :-)
Non finisco mai di sorprendermi di quanto siano bravi i recensori di questo blog. Complimenti sinceri ad un articolo bellissimo.
Si sente tutta la passione di Alberto per il giallo classico, in questa recensione. Mi piace da morire come descrivi le tue impressioni e sensazioni mentre leggi. Il libro è nella mia wishlist da quando è uscito e ora devo assolutamente prenderlo appena possibile, se non altro per vedere se hai ragione sul finale ;-)
Grazie mille amici miei :-)))
Confermo che si tratta di un romanzo scritto divinamente. Ci voleva veramente in una settimana terribile. Per quanto riguarda il finale non vedo l'ora di confrontarmi con qualcun altro..Quindi "Marta, Martina, Marco e Paolo pronunciatevi...." :-))))
Prima devo comprarlo... ;-)
Mi era scappato questo! Fantastico Alberto, ci metti il cuore e l'anima nelle tue recensioni : bravissimo! E poi pare proprio bello questo romanzo :)
Finito di leggere il libro, devo dire che sul finale concordo abbastanza con Allanon: mi ha lasciato l'amaro in bocca. Troppo semplicistica la conclusione del ministro degli Interni. Intrigante invece l'ultimissimo paragrafo.
Concordo con Palazzo Lavarda, è un romanzo stupendo ma il finale lascia certamente un gusto amaro in bocca...
Tino
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