Ho camminato tra i sentieri di una delle pagine più tristi e drammatiche della storia dell’umanità, la persecuzione ebrea da parte del popolo nazista, grazie all’indiscusso capolavoro di Richard Zimler “Gli anagrammi di Varsavia”, Piemme editore.
“Forse tutti i morti devono tornare a casa prima di andarsene per sempre” o, per lo meno, dovrebbero per lasciare ai posteri la testimonianza di quanto l’animo umano possa giungere a commettere atti di violenza inimmaginabili. Siamo nel settembre del 1940, molte zone di Varsavia sono già state rese inaccessibili agli ebrei ed Erik Cohen, psichiatra ebreo, decide di trasferirsi nel vecchio quartiere ebraico dove vive sua nipote Stefa con il figlio Adam. Sabato 12 ottobre i nazisti limitano ulteriormente la vita della popolazione ebraica ordinando loro di ritirarsi nel ghetto fino a quando il 16 novembre furono, letteralmente, rinchiusi nel loro quadrilatero di esistenze attraverso la realizzazione di un muro che li isolò dal resto della città. In un clima in cui il terrore e il genocidio diventano protagonisti assoluti della Storia, credo, che la paura più grande sia quella di non lasciare traccia della propria esistenza ed Erik abbandona il suo proposito di rileggere le opere di Freud e scrivere un lavoro su alcuni casi clinici, che lo avrebbe condotto al successo europeo, per guidare Adam sulla strada della sopravvivenza.
“Disteso a letto con mio nipote cercavo di rimanere sveglio…restando vigile volevo innescare un processo più elaborato. Per lui e anche per me. Così morire sarebbe stato molto più difficile per entrambi”. Il sogno di Erik si dissolve come neve che cade sul bagnato quando in una gelida mattina del 17 febbraio 1941 Adam esce di casa per non farvi più ritorno. Il suo corpo sarà ritrovato all’alba della mattina seguente su quel filo spinato che recinta le angosce speranzose di un popolo relegato e trucidato. Il momento del riconoscimento del corpicino di Adam da parte di Erik è un bagno di dolore. Adam ha la testa chinata verso sinistra. Non c’è morte per i sentimenti.
Non c’è sconfitta per il cuore. Erik è invaso dal senso di colpa per aver lasciato uscire Adam la sera in cui è scomparso ed il senso di colpa è, per Erik, un travaglio interiore acuito ancora di più dal suicidio di Stefa “morta di sete per un’infinità di ragioni”. Erik ci insegna che il dolore, se incanalato nella giusta direzione, può essere catartico poiché egli stesso riesce ad emergere da quella sensazione di colpa ed infrangere le accuse della sua coscienza per riscattare e vendicare l’atto più drammatico che la mente umana possa concepire: la morte di un bambino.
Un particolare sconvolgente induce Erik a ricercare le ragioni profonde della morte di Adam e proprio quel particolare si rivelerà denominatore comune con la morte di un’altra creatura, segnata dallo stesso destino, Anna 15 anni e figlia di un sarto ebreo. Le indagini condurranno Erik nei vicoli sotterranei che regolano il traffico clandestino e che collegano il ghetto ebraico al resto del mondo. Attraverso l’analisi di chi è abituato a scandagliare i percorsi della psiche umana, Erik riesce a giungere alle ragioni e all’artefice di questa triste carneficina per scoprire che le pulsioni di vita e di morte sono facce della stessa medaglia e che ognuno di noi, in alcune circostanze può essere il riflesso di un’immagine fangosa. La straordinarietà di Zimler sta, dunque, nell’amalgamare un’infinità di sentimenti spesso divergenti tra loro, in un clima di angosce, contrasti e paure che soccombono alla stessa natura umana.
L’immagine di Stefa che culla il corpo morto di Adam rievoca sentimenti di amore, protezione, calore ed allo stesso tempo di dolore e drammaticità che si manifestano nell’atto stesso del dondolare. Dondola chi culla, dondola chi esorcizza il dolore della morte. Ma l’intento dello scrittore, attraverso un thriller che esula un po’ dalle righe della narrativa di genere, è quello di guidarci, attraverso, una narrazione nitida e malinconica dei fatti e una descrizione introspettiva dei personaggi, verso riflessioni profonde che investono temi di natura etico-storico-sociale.
Tramandare ai posteri che al di sotto dei territori polacchi sono sepolti i corpi, le polveri ma soprattutto le voci di tutte le vittime che i nazisti hanno ucciso durante l’Olocausto, nell’intento di distruggere il futuro degli ebrei, è l’unico modo che ci resta per rendere giustizia e “sentirci partecipi di una cultura che i nazisti non hanno potuto uccidere”.
Articolo di Marco "Killer Mantovano" Piva
Dettagli del libro
- Formato: Brossura
- Editore: Piemme
- Anno di pubblicazione 2012
- Collana: Piemme linea rossa
- Lingua: Italiano
- Pagine: 405
- Traduttore: M. Crepax
- Codice EAN: 9788856614909
1 commento:
Mi sono commossa a leggere la tua recensione Marco, hai toccato corde molto profonde.... e non credo di dover aggiungere altro......
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