E’ cosa nota e universalmente riconosciuta che quella del burbero, sgradevole e scorbutico patriarca, ricco sfondato, circondato da una pletora di parenti serpenti, nullafacenti e “nulla – volenti – fare”, in trepida attesa che passi a miglior vita per darsi alla pazza gioia sperperando i suoi averi, sia una delle figure più a rischio dell’intera letteratura gialla. In particolare gli zii ricchi vivono assai pericolosamente. Il tasso di mortalità della categoria è sicuramente superiore alla media. Le probabilità che qualche congiunto, particolarmente impaziente, dia una manina al destino, contribuendo ad agevolarne la dipartita anzitempo con mezzi non proprio ortodossi, sono statisticamente elevatissime. Quindi quando lo “squire” Bartholomew Blount, in occasione del suo settantesimo compleanno, invita presso la propria tenuta i suoi numerosi, ma non troppo affettuosi, nipoti, diciamo che ci mette parecchio di suo nel creare le condizioni ideali per rientrare ben presto pure lui nel novero della casistica in questione.
Il suo trapasso prematuro quindi non stupisce più di tanto. Meraviglia piuttosto il fatto, che avvenga in seguito ad una banale caduta da cavallo, essendo lui un provetto cavaliere. Un normale incidente? Parrebbe proprio di si. E come tale verrebbe archiviato, se il giovane dottor Bruce Dickson, non desse corso ai propri sospetti insistendo per eseguire ulteriori e più approfondite analisi, che permettono di svelare la presenza nel sangue del signorotto di una quantità pressoché industriale di un potente veleno ad azione ritardata, assunta (o meglio somministrata) prima di uscire di casa per la sua solita cavalcata quotidiana.. Nella mente del dottore si fa largo quindi una parola terribile. O-m-i-c-i-d-i-o.
Chi tra tutti i nipoti, ha avuto il coraggio di mettere in atto e portare fino in fondo, quello che tutti gli altri sognavano di fare da una vita ? Naturalmente c’è solo l’imbarazzo della scelta tra il parentado trattato solitamente a pesci in faccia dal trapassato. E che dire poi della vicina, l’imprescindibile “femme fatale”, Miss Mary Hannaford ? In che tipo di rapporti era con Blount, visto che prima dell’”incidente”, si era fermato pure da lei a festeggiare il proprio compleanno ? La lettura del testamento, poi, come spesso accade in questi casi, non fa altro che esasperare l’atmosfera di gelosia, sospetto e inquietudine che si respira nella casa, esacerbando i dissapori tra i vari eredi parzialmente delusi, e innescando la miccia di una serie di strani “infortuni” sulla cui effettiva casualità il dottore ben presto comincia a dubitare fortemente. Toccherà allo stesso giovane medico, alla fine, dipanare l’intricata matassa portando alla luce la verità, inaspettata, che cova sotto la cenere.
Fin dall’inizio la proposta della collana “I Bassotti” è chiara e trasparente, esposta in calce alla prima pagina di ogni volume. Gialli da salvare, appartenenti possibilmente all’epoca d’oro del mistery, a volte misconosciuti, altre volte inediti ovvero riscoperte di autori caduti nel dimenticatoio. A quest’ultima categoria appartiene sicuramente Herbert Adams che ha avuto il suo momento di gloria in Italia soprattutto negli anni ‘30 protagonista della collana “I Romanzi della Sfinge” edita da Salani (che ha riproposto poi alcuni titoli a cavallo tra gli anni 60 e 70 nella collana “I Romanzi della Rosa”) nonché grazie ad alcuni romanzi pubblicati negli anni 40 nella collana “Il Romanzo per Tutti” del Corriere della Sera, alla pubblicazione da parte delle Edizioni E.D.I.T.A.L. (Edizioni Italiane) di Milano de “La scimmia d’oro” agli inizi degli anni 40, e alla collana “Romanzi Gialli e dell’Enigma” della Sanzogno che ha pubblicato “Il mistero di Porta della Regina” a nome di A. Herbert. Marco Polillo, patron della casa editrice, conosce bene il suo mestiere in forza della sua esperienza decennale ma soprattutto del suo amore per questo genere di romanzi. Quindi quando si tratta di scegliere un titolo da proporre, probabilmente non fa altro che mettere in pratica quanto dichiarato dall’io narrante del precedente “Bassotto” di Don Betteridge “L’alibi di Scotland Yard” (I Bassotti n. 92).“A noi piace qualcosa che conosciamo e che possiamo capire. In fondo mentalmente, siamo tutti bambini; e quando devi intrattenere dei bambini, se sei furbo, non inventi storie nuove e fantasiose, ma vai sul sicuro con “Cenerentola” e “I Tre Orsi”. E si comporta di conseguenza. Non ci pensa minimamente a propinarci assassini cHannibali, o peggio ancora qualche genere di “contaminazione” che pare essere la parola d’ordine oggigiorno.
Per accontentare i suoi Fedeli Lettori, si limita a far leva su fattori che compongono una formula sperimentata e collaudata ormai da più di 100 anni. Anche questo romanzo non fa eccezione. Noi appassionati, al pari dei bambini che adorano essere intrattenuti all’infinito con le stesse storie, vorremmo sempre leggere la descrizione di tante altre Wintle Harford Manor che “…risaliva ai tempi della Regina Anna. …La costruzione era molto vasta ma non superava mai i due piani d’altezza.. I mattoni rossi erano addolciti dal tempo e gli angoli esposti al sole erano coperti di glicine, magnolie e di altre piante fiorite”. O del suo salone “con le pareti rivestite di quercia e il grande camino …I mobili erano chiaramente di pregio e se anche il tappeto turco e la tappezzeria erano consunti, , questo non era indice di povertà ma di appagamento” Ecco “appagamento” è quello che deriva dalla lettura di questo romanzo. Nessun delirio o estasi o esaltazione particolare. Piuttosto una sana, contegnosa, misurata, soddisfazione temperata da un imperturbabile “self control” anglosassone, per un romanzo comunque non destinato a entrare nella storia del genere, scritto per di più da un autore il cui nome e cognome nel suo momento di massima popolarità in Italia venivano addirittura confusi l’un l’altro, ma innegabilmente piacevole e scorrevole. Uno scrittore che ritengo possa venire, senza offesa, classificato come “minore” rispetto a molti altri, ma comunque meritevole di essere ricordato dagli appassionati come un “buon artigiano”, di quelli che magari non sono mai riusciti a scrivere un capolavoro ma sicuramente da stimare in modo particolare proprio per quelle doti, richiamate nella quarta copertina, di “freschezza e leggerezza“. E con tale spirito deve essere letto e giudicato questo romanzo.
Una lettura lieve e semplice, da gradire al pari di una buona tazza di the. Adams ci prende per mano e ci accompagna attraverso una storia che sarà particolarmente apprezzata da coloro che preferiscono abbandonarsi tranquillamente alla trama in sé e per sé piuttosto che perdersi nei contorti labirinti di mille e più indizi, false piste, alibi fasulli, travestimenti, eventi sovrannaturali, spettri, messaggi dagli spiriti e ipotesi disparate quanto fantasiose. Senza pretese ma con l’unico scopo di farci trascorrere in maniera rilassata qualche ora del nostro tempo. E scusate se è poco. Una vicenda che ha il sapore di qualcosa d’altri tempi, con un giusto tocco di rosa (ma non più di tante altre storie) e qualche “effetto speciale” di genere sovrannaturale dal sapore un po’ ingenuo, e a cui in realtà probabilmente non crede realmente nessuno, in quanto completamente avulso dall’atmosfera che pervade la storia per niente gotica. Nel complesso però un insieme che denota un discreto mestiere, con un mistero che forse si comincia a dipanare un po’ troppo prima del tempo, ma che si svelerà nella sua completezza, complessità, interezza e pure nella sua brutalità e malvagità estrema, solo nelle ultimissime pagine.
Manca forse il plot classico con il segugio a caccia di indizi e la spiegazione finale preferibilmente intorno al caminetto ma c’è comunque molto di quello che i lettori affezionati a questo genere di romanzi si aspettano e giustamente pretendono. Una lettura da fine giornata particolarmente pesante, con funzioni di c-a-l-m-a-n-t-e, in attesa di tuffarsi nella tortuosi labirinti costituiti da enigmi più spettacolari e inestricabili, percorrendo i corridoi, i saloni e le biblioteche di tante altre Styles Court o Villa Rose o Corte Rossa, nel ruolo di spalla di rinomati quanto infallibili investigatori che inchiodano il colpevole con l’ausilio della lente d’ingrandimento o delle proprie “cellule grigie”. Ma queste, che bello, sono altre storie…………..
Articolo di Alberto "Allanon" Cottini
Dettagli del libro
- Titolo: Una parola di otto lettere
- Autore: Herbert Adams
- Titolo originale: A word of six letters (Murder without risk! edizione USA)
- Traduttore Marisa Castino Bado
- Editore: Polillo
- Collana I Bassotti n. 94
- Pagine 248
- Anno 2011
- Prezzo euro 13,90
3 commenti:
Ormai Alberto è davvero un maestro nel presentarci i Bassotti. Una sottile vena di ironia, che non guasta mai. Un'indovinata interpretazione di cosa si aspetta in genere il fedele lettore di questi libri. E' proprio vero: quando voglio rilassarmi e non pensare a nulla, cerco questo tipo di libri, magari senza sorprese eclatanti, ma che sa condurmi per mano in quel mondo che ormai conosco a memoria, ma che mi piace sempre tanto.
Caro Alberto
i "minori" di allora non erano poi tanto male...:)
Fabio
Complimenti Alberto! E' sempre un piacere leggerti e prendere spunto dalle tue recensioni :)
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