Derek Raymond, pseudonimo di Robert William Arthur Cook, ci apre le stanze nascoste del suo passato, e non solo, grazie al libro autobiografico appena pubblicato da Meridiano Zero (a diciassette anni dalla scomparsa dell’autore) – Stanza nascoste, appunto, il titolo traslitterato dall’originale inglese del 1992 “Hidden Files” – e lo fa non senza alcune riserve, essendosi misurato fino a quel momento col romanzo e avventurandosi in un genere nuovo: «Questa autobiografia è un tentativo di decrittare i codici di accesso a queste stanze nascoste, anche se non potrà mai avere la leggibilità di un romanzo: dopotutto descrive solo un insieme di funzioni.Il fatto di essere come una macchina poco orientata agli altri, e di deludere ogni aspettativa proprio per queste stanze nascoste, è fonte di angoscia per me e per chi mi sta vicino. Ma nessuno di noi può discostarsi, se non lievemente, da ciò che è».
Ha sessant’anni Raymond, quando si accinge a ripercorrere i passaggi più importanti della sua vita e non si sente vecchio perché, di fatto, non lo è. Però accetta con piena coscienza quanto il tempo, sulla terra, sia soggetto a un “contratto universale” e lo spazio per la libertà di scelta preveda dei limiti. Eppure lui ha fatto della libertà la sua filosofia di vita.
Nato in una famiglia abbiente il 12 giugno 1931, a Londra, in Baker Street, a qualche passo dalla casa di Sherlock Holmes, a meno di dieci anni dovette assistere ai terribili bombardamenti della Seconda guerra mondiale, anche se allora li visse con la giocosità che difende i bimbi dal dramma: durante gli attacchi usciva di casa col fratello per contare gli aerei e osservare gli inseguimenti dei cacciabombardieri. La Storia sullo sfondo, quindi, e in primo piano i personaggi che l’hanno segnato nel ricordo e nell’anima. Tra questi ultimi emerge la madre, vissuta come nemica: «Ancora adesso, a ventitré anni dalla sua morte, non riesco a essere imparziale con lei; posso solo dire che è una tragedia odiare ed essere odiati dalla propria madre».
Una volta cresciuto, non ci pensò due volte a rinunciare ad agi e comodità per cercare un’altra casa: la strada, o meglio, le strade, osservatori privilegiati di quella che sarà l’intera sua produzione. Conobbe l’Europa dei bordelli, dei quartieri malfamati, delle prigioni, dei marciapiedi, ma anche dei campi coltivati e si arrangiò con lavori di ogni tipo. Negli anni ‘60 tornò a Londra e ancora la strada – quella più nera, fatto di delinquenza, di angoscia – gli fu nutrimento spirituale.
Quanto vita e arte si interfaccino è l’autore stesso a spiegarlo in diversi punti e propongo un passaggio a proposito de “Il mio nome era Dora Suarez” (sempre pubblicato in Italia da Meridiano Zero, insieme ad altri 9 titoli, tra cui il penultimo per uscita è “Incubo di strada”), il romanzo che lo devastò per i diciotto mesi di stesura, relegandolo in uno stato solitario di costernazione. L’autore non si limitò a redigere, ma entrò nel libro e ne rimase ferito anche a fine stesura: «Non vedo come si possa penetrare nella tragedia e nella morte di un altro (di Dora) e aspettarsi di rimanere intatti, immutati, è una situazione che ti coinvolge del tutto o per niente, non ci sono mezze misure».
Questa compenetrazione tra finzione e realtà è un aspetto fondamentale dell’intera autobiografia, ma viene sviscerato nelle bellissime pagine dedicate al noir, intensi momenti di riflessione letteraria anche – e soprattutto – quando spiazzano con la loro semplice evidenza: «Il ruolo del noir consiste nell’approfondire un ritaglio di cronaca nera e di sviluppare la tragedia che realmente è, nell’investigare sulla violenza, sulla miseria e sulla disperazione, nell’analizzare tutto il peggio, tutto quello che c’è di orribile e di sbagliato nel nostro modo di vivere». E se Shakespeare, secondo Raymond, è il più grande autore di noir, questo genere – ora in via di decadimento e minato dai suoi «deboli sostituti: il giallo e il poliziesco» – potrebbe «alzare la testa» e rinnovarsi. Raymond lascia qualche porta aperta, dunque. E comuque sia, rifugge dalle verità inestite di pretese di assolutismo. O da chi pensa di custodirla in tasca, la verità.
Una bella lezione argomentata per tutti coloro che credono di essere gli unici depositari del noir o, al contrario, per chi ne ha annunciato un’apocalisse senza ritorno, perché: «ciò che differenzia il noir dal resto della letteratura è che non può appartenere ad alcun programma cosiddetto ‘letterario’ studiato attorno a un tavolo, strangolato da quel raffinato, tortuoso, mediocre chiacchiericcio che proviene da un gruppo di nullità cultural-chic».
Articolo di Marilù Oliva
Dettagli del libro
- Stanze nascoste
- Derek Raymond
- Editore: Meridiano Zero
- Traduzione: Federica Alba e Pamela Cologna
- Anno: 2011
- pag. 335
- 16,00 euro
- ISBN 978-88-8237-224-8
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