Shelley Smith (al secolo Nancy Hermione Courlander 1912 - 1998) appartiene a quella schiera di autori che incomincia a scrivere negli anni ’40 del secolo scorso, al termine cioè di quella che viene universalmente indicata come l’epoca d’oro del giallo. Tra le altre scrittrici di quel periodo (considerando il fatto che Patricia Highsmith pubblicherà il suo primo romanzo “Strangers on a train” – “Sconosciuti in treno” “solo” nel 1950 e che non ha certo bisogno di sponsor) che meriterebbero maggior risalto, mi piace ricordare Margaret Millar e Ursula Curtiss. Menzione speciale invece per Christianna Brand (“Uno della famiglia” Bassotto n. 39 e “Il gatto e il topo” Bassotto n. 78) che se fosse stata più prolifica, probabilmente sarebbe oggi annoverata nell’Olimpo del genere. Shelley Smith risulta, almeno in Italia, assai più sconosciuta rispetto ai nomi indicati. Un’autrice che nel mercato italiano ha fatto la sua fugace comparsa agli inizi degli anni 90 con la pubblicazione di 4 Gialli Mondadori e che sicuramente varrebbe una riscoperta. E bene ha fatto la Polillo a ripuntare i riflettori su di lei. Questa infatti è un’ottima scrittrice nonché giallista di sicuro livello. Dopo aver pagato il proprio tributo agli splendori del periodo aureo 1920 – 1940 con una serie di classici “whodunit”, Shelley Smith ben presto vira decisamente la propria ispirazione verso testi di carattere prettamente psicologico, rendendo così ogni suo romanzo un qualcosa a sé stante, diverso dagli altri come struttura e trama. Soprattutto due frasi, tratte da altrettanti libri, possono ben inquadrare il contesto dell’opera della Smith . “L’omicidio inizia nella mente” tratta da “La cantina n. 5” e la più complessa “Noi interpretiamo il mondo che ci circonda attraverso le nostre paure e le nostre speranze. Le parole che gli altri ci rivolgono noi le intendiamo come una risposta ai nostri stessi pensieri. Nelle paura o nel desiderio, noi cerchiamo invariabilmente ciò che ci aspettiamo di vedere” da “La ballata dell’uomo in fuga”. Miscelando in dosi maggiori o minori questi due pensieri, otterremmo in un colpo solo i retroscena, le premesse, i preludi, le avvisaglie di gran parte dei drammi narrati dalla scrittrice inglese. L’incomprensione è la chiave di lettura dei romanzi della Smith. I più reconditi desideri o le più radicate paure provocano la distorsione delle parole e/o dei gesti altrui, generando false ipotesi a cui seguono morte, dolore e distruzione. In certi casi il fraintendimento fa tutt’uno con la volontà inconscia di vedere eliminato ciò che si frappone al coronamento delle brame, delle aspirazioni, delle speranze e delle fissazioni. In altri con l’impellenza di veder spazzate via le paure, le ansie, le apprensioni nel più breve tempo possibile. Costi quel che costi.
Alla serie di gialli psicologici appartiene “In un villaggio inglese” (titolo originale “The lord have mercy” del 1956 - già pubblicato nel 1993 nella collana “Il Giallo Mondadori” al numero 2303 con il titolo “Il fardello della colpa”) inserito - forse un po’ troppo entusiasticamente - dal critico e scrittore Julian Symons nella lista delle 100 migliori crime stories di tutti i tempi, compilata per il Sunday Times.
Niente appare più civile, borghese, ordinato e lindo di un tranquillo villaggio della campagna inglese. Eppure queste manierate comunità sono palcoscenico di una varietà e di una quantità di omicidi tale da far impallidire le strade delle più buie e violente cittadine americane. Non fa eccezione il villaggio in cui lavora il dottor Robert Mansbridge. Abita lì ormai da molti anni, ma per i locali rimane in fondo in fondo sempre un po’ forestiero, anche se col tempo, dopo aver superato una prima fase di vero e proprio boicottaggio, è finalmente riuscito a farsi accettare dalla comunità.
Magari non amatissimo ma almeno stimato. Va peggio alla moglie Editha, la quale non è riuscita mai, anche perché mai si è applicata fino in fondo, ad inserirsi completamente, tanto che non ci si stupisce molto quando una certa sera il dottore, rientrando a casa, la trova morta e stecchita nel letto. Naturalmente nel frattempo noi abbiamo avuto modo, dalla nostra postazione privilegiata di lettori, di far conoscenza con parecchi degli abitanti del villaggio e scoprire così, tra un pettegolezzo e un noiosissimo party in giardino, una scenata di gelosia e qualche battuta al vetriolo pesante come un macigno, che, chi per un motivo, chi per un altro, erano numerosissimi i compaesani che potevano vantare qualche movente più che valido per attentare alla vita della moritura. Tutti ordinatamente in coda, uno dietro l’altro, manco fossero al banco dei salumi del supermercato con in mano il numerino aspettando il proprio turno. Si ha solo l’imbarazzo della scelta. Whodunit? Leslie la scultrice innamorata della stessa Editha? Noami l’antiquaria gelosa di Leslie ? La giovane e impacciata Catherine, da sempre innamorata del dottore ? Il professor Golding o sua moglie Betsy che per opposti motivi vorrebbero togliere di mezzo quell’”impicciona” della moglie del dottore? Il fratello Harry spiantato e sempre alla ricerca di qualche sterlina da spillare? E naturalmente, ultimo ma non meno importante, il maritino stesso? Il romanzo, anche se parte come un tipico esempio di giallo all’inglese, con la presentazione dei personaggi e lo spiegamento di dieci, cento, mille moventi, dopo l’omicidio, cambia decisamente rotta virando verso il giallo psicologico, venendo meno completamente dell’indagine poliziesca.
Dopo una prima parte veramente superba nella presentazione dei personaggi e nella creazione di ciascun profilo psicologico, in cui la tensione cresce a livelli veramente elevati, la seconda metà non mantiene a sufficienza le promesse, calando un po’ di tono. Dovremo aspettare le ultimissime righe di questo romanzo decisamente fuori dagli schemi tradizionali (siamo ormai nel 1956) del tipico giallo d’indagine per scoprire, nel corso di una scena madre da antica tragedia greca, il vero colpevole e avere la conferma che l’incomunicabilità non sta tanto nella forma o nella sintassi delle frasi di chi parla ma piuttosto nella mente, nel cuore, nelle aspirazioni o nelle paure di colui che ascolta.
Nel 1953 Shelley Smith pubblica “An afternoon to kill” (“Un pomeriggio da ammazzare” Giallo Mondadori 2218 del 4/8/1991) che invece riprende lo schema un po’ più classico del giallo d’indagine. Ma anche in questo caso l’autrice riesce a creare qualcosa di unico e particolare. Lancelot Jones deve raggiungere per motivi di lavoro l’India ma un’avaria al motore dell’aereo lo costringe ad un atterraggio di fortuna in una landa imprecisata lungo la strada. Mentre il pilota è intento a riparare il guasto, trova rifugio dal solleone presso una grande casa che scoprirà abitata da una dama inglese di vecchio stampo. Per “ammazzare il tempo” l’anziana signora gli racconta una oscura storia di adulterio e omicidio accaduta nella propria famiglia quando risiedeva ancora in Inghilterra ai tempi della regina Vittoria. Al centro della vicenda il conflitto tra due fortissime personalità femminili. Inevitabile che una di loro ci lasci le penne. La suspense, secondo la migliore tradizione del genere, viene mantenuta fino alle ultime pagine, quando la polizia sulla base di prove inconfutabili darà un volto al vero colpevole. Giustizia è fatta. Ma le ombre del passato si stendono inquietanti sul presente, e la vicenda si svelerà appieno con un magistrale colpo di teatro.
Le cose raramente sono quel che sembrano, e la sorpresa finale è eccellente. Un tributo o meglio un vero e proprio atto d’amore per quelle storie classiche tanto in voga nel periodo aureo. Una vicenda veramente ben condotta oltre che geniale e intelligente.
“La cantina n. 5 “ ( “The cellar at n° 5” del 1954 - Giallo Mondadori n. 2266 del 5/7/1992) è un grandissimo romanzo psicologico che ruota intorno alla figura dell’anziana e in fondo un po’ patetica, signora Rampage che vive circondata dalla sua vasta collezione di oggetti più o meno d’antiquariato. La conosciamo perennemente impegnata a “darsi un tono” con amiche e vicine attraverso i racconti assolutamente inventati della pretesa popolarità della figlia che da tempo si è trasferita in Malesia, tentando così di surrogare l’assoluta mancanza di vero affetto da parte di chicchessia. E’ una donna profondamente sola, che per una serie di circostanze accetta di prendersi in casa una specie di governante / pensionante. In uno spazio sia fisico che mentale assolutamente claustrofobico, a poco a poco la tensione tra le due cresce, fino a sfociare nell’inevitabile dramma. La Smith raggiunge il suo massimo con un esemplare studio di caratteri e del loro interagire, che non eguaglia le vette che anni dopo toccherà “La morte non sa leggere” di Ruth Rendell, solo perché quest’ultimo è molto più soddisfacente anche dal punto di vista procedurale dell’indagine poliziesca. A differenza de “In un villaggio inglese”, la seconda parte della “Cantina n.5” è decisamente più coinvolgente e drammatica. Sarà forse anche per questo che il critico H. R. F. Keating l’ha inserito tra i 100 migliori gialli mai scritti.
“La ballata dell’uomo in fuga” – Giallo Mondadori n. 2397 del 8/01/1995 (“Tha ballad of the running man” del 1961. Nel 1963 premiato in Francia con il “Grand prix de littérature policière” quale miglior romanzo straniero e finalista lo stesso anno dell’”Edgar Award” quale “miglior romanzo”) è un thriller a dir poco splendido. Più che di una “ballata” si tratta di un vero e proprio “galop” forsennato visto il ritmo e l’andatura sostenuta. Un libro veloce veloce impossibile da mettere giù. Una vera e propria sceneggiatura cinematografica da cui infatti nel 1963 è stato tratto il film “Un buon prezzo per morire” (“The Running Man” del regista Carol Reed ricordato per il famosissimo “Il terzo uomo” del 1949 e “Il nostro agente all’Avana” del 1959 tutti e due tratti dagli omonimi romanzi del grande Graham Greene). Rex Buchanan è uno scrittore di libri gialli di medio calibro. Un giorno si rende conto che tale attività costituisce solamente uno spreco di ingegno e di tempo.
Con il suo cervello e le sue capacità, che considera decisamente superiori alla media, comincia ad arzigogolare su quale potrebbe essere il metodo migliore e soprattutto più veloce per fare soldi a palate. Escogita quindi una serie di ingegnose, quanto diaboliche, truffe ai danni dell’assicurazione da mettere in atto con la complicità della moglie. Tutto pare filare liscio fino a quando il diavolo non ci mette la coda. La cosa, se Rex accettasse di seguire i saggi consigli della moglie, potrebbe ancora essere superabile. Ma la paura costante di essere smascherati e la cattiva coscienza distorcono e stravolgono completamente la capacità di percezione dell’uomo, facendo ben presto precipitare la vicenda, che fino a quel punto aveva piuttosto i toni di una farsa, in una vera e propria tragedia che si chiuderà con un finale shock. Un libro spumeggiante di puro divertimento.
Gli scenari all’interno dei quali si muovono i personaggi creati dalla Smith, a rimarcare l’importanza data dall’autrice all’analisi psicologica, sono giusto dei bozzetti. Il villaggio inglese senza nome, l’epoca vittoriana, i sobborghi di Londra, sono percepiti appena, quasi intravisti sullo sfondo, mai descritti in maniera tridimensionale. Lo stesso villaggio inglese è introdotto piuttosto come uno stato d’animo (“Non c’è nulla di più deprimente di un villaggio inglese in un pomeriggio piovoso di una domenica di giugno”) che come un punto geografico. L’autrice, da ottima scrittrice quale si dimostra, riesce così a dare maggiore spessore alla figura e alla personalità dei suoi attori, che risultano assolutamente reali e efficaci, sia nei romanzi con pochi personaggi che in quelli maggiormente corali. Su tutti però spiccano le donne. E che donne. A volte in cerca di guai, altre volte sull’orlo di un esaurimento nervoso. Ma sempre vere e assolute mattatrici. Donne forti, volitive, vendicative, astiose, giudiziose, orgogliose, decise, autoritarie, determinate, risolute, dure, accanite, lucide, implacabili, concrete, sagge, quadrate, sensate come sanno essere solo le donne quando vogliono. Un mix esplosivo. Un’arma letale.
E che scintille quando si scontrano. Gli ometti escono decisamente con le ossa rotte dal confronto con “l’altra metà del cielo”. Stupidi e orgogliosi fino all’autodistruzione, rimbecilliti completamente dai fumi di testosterone quando capita. Deboli, malleabili, manipolabili, piagnucolosi, queruli, vacillanti come dei bambini piccoli. Se intelligenti, buttano alle ortiche il proprio talento come Rex Buchanan oppure, al pari di Lancelot Jones, devono comunque subire lo sberleffo, il marameo finale da parte della controparte femminile. Donne da cui guardarsi. Donne capaci anche di rendere irrespirabile e asfissiante l’atmosfera falsamente placida e idilliaca di un, apparentemente tranquillo, villaggio inglese.
Articolo di Alberto "allanon" Cottini
Dettagli del libro
- Titolo: In un villaggio inglese
- Autore: Shelley Smith
- Titolo originale: The Lord Have Mercy
- Traduttore Federica Adami
- Editore: Polillo
- Collana I Bassotti n. 88
- Pagine 240
- Anno 2010
- Prezzo euro 13,90
Nella collana “Il Giallo Mondadori”
- “Un pomeriggio da ammazzare” n. 2218 del 4/8/1991
- “La cantina n. 5” n. 2266 del 5/7/1992
- “Il fardello della colpa n. 2303 del 21/3/1993 (“In un villaggio inglese”)
- “La ballata dell’uomo in fuga” n. 2397 del 8/1/1995
9 commenti:
OK!!!
Fabio
Che bello!!!! Leggere e impararare!!!!
Straordinario Alberto.
Straordinario Alberto, bravissimo!
Alberto: un ritorno in grande spolvero sulle nostre pagine. "In un villaggio inglese" ce l'ho da leggere. E poi, grazie alla retrospettiva, ho scoperto di avere pure "La ballata dell'uomo in fuga"!
Quando scrive, Alberto lascia sempre il segno!
Superba retrospettiva Alberto!
Decisamente intrigante la bibliografia dell'autrice, in particolare "In un villaggio inglese, che ammetto non conoscevo :)
Beh non ci sono neanche più parole, d'ora in po Herr Professor dr.Cottini, laurea ad honorem in giallo classico.
Beh, ho letto "La ballata dell'uomo in fuga", ma a me non è piaciuto proprio per niente. La psiche criminale è delineata molto bene, sì, ma parecchi dettagli della trama (specie nelle frodi assicurative) mi hanno lasciato molto perplessa.
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