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martedì 5 ottobre 2010

Premio Azzeccagarbugli 2010 - Cronaca di una bella serata


Grande partecipazione di pubblico alla serata finale del Premio Azzeccagarbugli 2010.
Tra i 100 giurati prescelti per il contributo votante all’iniziativa, che si tiene per il sesto anno nella fascinosa Lecco, anche due novelli Bonnie e Clyde in trasferta, più prosaicamente Benny e Frankie, che non hanno saputo resistere alla tentazione di un quid pro quo culturale con cinque autori tra i migliori che il nostro bel paese si ritrova in ambito noir.
Con la compagnia ed il sostegno morale dei santi familiari, nel significato che danno i siculi al verbo santiare, causa il discreto sforzo di volontà esibito nel seguire i congiunti in questa ennesima variante della passione libresca, è stato facile raggiungere quel ramo del lago di Como ove il Manzoni volgea lo sguardo, componendo di avvocatucoli e potenti, e immergersi da innominati nei panni del gran giurì popolare, pronti a distruggere quanto ad esaltare promettenti carriere.
Abbacinati dalla facciata neoclassica del Teatro della Società, opera del Bovara, accolti al suo ingresso da una sollecita segreteria del premio, rassicurata dalla nostra adesione, eccoci subito accomodati nell’ampio parterre, dove, individuati i posti e compiute le indispensabili manovre di gluteo per il possesso delle comode poltroncine in raso rosso, ci si dispone all’attesa. Attesa che si rivela un poco più lunga del previsto, si coglie un po’ di nervosismo in sala. Per ovviare a quel tanticchia di ritardo di inizio dello spettacolo, il tempo di arrivare di alcuni tra i protagonisti della finale, bloccati da un traffico inatteso (per essere un venerdì sera ;p), sul proscenio si passano lo scomodo testimone i rappresentanti delle istituzioni, con i doverosi ringraziamenti agli sponsor, che non sono mai abbastanza, e la curatrice del premio, per riassumere i connotati dell’iniziativa. Bei connotati, se si può dire ;p

Terminate esibizioni ed improvvisate (da segnalare per meriti speciali quella di una veste talare letteralmente spiritata, stile Sister Act) finalmente giunta, seppur ansante, la brava presentatrice, Alessandra Casella, voilà sul palco accedere i magnifici autori, Colitto, Carlotto, Vichi e Bucciarelli, orfani ahimè della Verasani, impossibilitata come direbbe Cevoli.
 Dopo i convenevoli, qualche accenno al regolamento, al numero dei votanti, alla suspance creata dallo spoglio delle schede che si susseguirà sul monitor proiettato alle spalle, si aprono le danze con le interviste, previa lettura di brani tratti da libri in concorso, minimo comun denominatore la territorialità dei romanzi, il legame con la città, i luoghi del vivere, sia Bologna o Milano o Firenze o l’intero Nordest.
Alla Bucciarelli tocca rompere il ghiaccio, rispondere alla domanda su come abbia potuto affrontare da madre un tema così devastante come quello della pedofilia, trattando il romanzo di una serie di rapimenti di giovani vittime alle quali vengono riservate torture fisiche e psicologiche irripetibili. L’obiettivo è in realtà un altro, come del resto si trova nel titolo del libro: più un’evocazione che saggio sulle forme del male alle quali si oppone il tema del perdono, sondato nelle modalità del suo svolgersi in chi rimane e sopravvive ed è, già distrutto dal dolore, interrogato fuori e dentro sul presentarsi di questo che può rivelarsi un bisogno o un tormento, piuttosto entrambi nello stesso tempo, una conquista più che una rivelazione. Coinvolgenti riflessioni che, accompagnate da una gestualità elegante e un linguaggio scelto da abile intrattenitrice, vien voglia di riprendere in mano la quarta avventura dell’ispettore Dolores Vergani.
Sigla il momento l’uscita del primo exit-poll, dopo lo spoglio delle prime venti schede, ed è già un distacco di diversi punti quello che separa Vichi dagli altri concorrenti.
Sotto la luce dei riflettori passa quindi Carlotto, al quale viene richiesta un’analisi della geografia criminale transnazionale che attraversa il nordest di cui i suoi libri, dall’Alligatore in poi, si sono mostrati indagatori se non scomodi anticipatori. Non è che un riconoscimento di quanto sia importante questo lavoro di ricerca, che ha fatto da quinta alle vicende del Marco Buratti, come di recente confermato dalla locale Confindustria messa di fronte all’evidente realtà, per anni negata. Nel medesimo contesto è riuscito il rilievo che la Casella suggerisce di dare all’amore del bandito, l’energia vitale che colpisce indistintamente buoni e cattivi, capaci di grandi slanci come di essere riamati senza contropartita alcuna.
Al secondo exit-poll qualche rimescolamento delle posizioni, ma Vichi rimane sempre indiscutibilmente in testa.
Si fa quindi letteralmente spazio sul palco, in un sfavillante verde padano, il Luca Crovi giornalista, conduttore della nota striscia RadioRai “Tutti i colori del giallo” che qui, in veste di officiante della sezione speciale Premio Raffaele Crovi, consegna a Marilù Oliva e alla sua opera prima Reperita l’ambito riconoscimento.
Scoppiettante lo scambio con l’autrice che rivela come l’immedesimazione in una mente disturbata, la discesa nei sotterranei della follia, sia costata più di una visita dallo psichiatra (per il libro) e qualche mal di testa empatico con le sofferenze del Cerè protagonista del romanzo. L’altro punto in comune è la passione per la storia che il killer per bisogno identifica come rifugio consolatorio per quel ripetersi (reperita) sempre uguale, di corsi e ricorsi, di delitti, calamità, guerre e saccheggi, quasi a conforto e spiegazione degli impulsi omicidi che lo assaltano da quando ne ha coscienza. Nessun intento giustificativo, ma la volontà di non fermarsi alla superficie delle motivazioni per quanto insane esse siano, perché, come spesso se ne trovano i prodromi, il male che si procura nell’età infantile poi si autorigenera più avanti in una spirale senza fine. Singolare point of view, originale e innovativa la trattazione, per la prima prova di una scrittrice da cui si attende molto ancora.
E’ poi la volta del thriller storico di Collitto, che ci intrattiene sulle veridicità contenute nel romanzo, a cominciare dallo stesso protagonista, Mondino de Liuzzi, medico italiano anatomista, scienziato effettivamente esistito nel secolo più buio e i cui trattati saranno testo di riferimento per le generazioni di studenti per tre lustri ancora dopo la sua morte. Nella Bologna del 1300 l’unico che riprende la pratica delle dissezione sul corpo umano, lavorando sul filo, in un precario equilibrismo, per mantenere cordiali rapporti con l’inquisizione. E di come sia altrettanto storicamente vero il culto del Mitraismo, contemporaneo del Cristianesimo, ma a questo al fine soccombente, con insospettabili punti in comune, dalla data di nascita del figlio del Dio, al concepimento in una vergine, alla santificazione della domenica, alla presenza di inferno e paradiso e dell’immortalità dopo la fine della vita corporea. In preparazione la chiusura della trilogia con l’ultima avventura di Mondino nella città di Venezia.
Un breve ripasso della classifica vede ancora saldamente in testa il romanzo di Vichi con il quale si conclude la prima tornata di interviste.
Tocca a lui. Veloce accenno alla collaborazione prestata dall’amico Gori, che nell’Angelo del fango mette di fronte Arcieri e Bordelli, cortesia che Vichi restituisce quasi specularmente nella sua narrazione dove Arcieri fornirà un elemento decisivo per l’indagine di Bordelli. In questo che probabilmente è il periodo più cupo, rassegnato e amaro del suo personaggio seriale Vichi, anche per il rispetto di una consequenzialità legata agli anni in cui ha immaginato l’evolversi delle sue storie, dal 1963 in poi, per un rifiuto di quella che poteva essere scambiata per vigliaccheria, ignorare, cioè l’evento più traumatico che colpì la città nel novembre del ’66 e per tutti gli anni a venire, decide di inserire gli eventi nei quattro giorni che segnano la memoria dei fiorentini come l’alluvione di Firenze.

Prima dell’attesa proclamazione, con l’elaboratore che rivede gli ultimi calcoli, c’è il tempo di presentare Tullio Avoledo, presidente della Giuria Speciale scrutinante (ben 56 i romanzi tra cui scegliere la cinquina), al quale è demandata la premiazione dell’opera straniera, trattandosi della Germania il paese ospite e di Vert Heinichen l’autore premiato con La calma del più forte. Divertente siparietto tra Avoledo ed Heinichen, che si indirizzano improperi come da tradizione, prendendo casa quest’ultimo a Trieste da una decina d’anni. Con l’accento teutonico che fa tanto Sturmtruppen (o altri più arditi paragoni che non possono citarsi pena infrazione al Concordato Stato-Chiesa) seguiamo Heinichen lanciarsi in una strenua difesa del comune sentire europeo che irradia nei suoi scritti in contrasto con lo sdegno sollevato dai costumi italioti. Applausi scroscianti.
Bene, arriva la votazione finale, vince Vichi, seguito da Colitto, Verasani e, a pari merito, Carlotto e Buciarelli. Premiazione di Vichi che indirizza sguardi sornioni alla Bucciarelli alla quale ormai costa sangue partecipare alle finali dove se lo ritrova immancabilmente in testa.
C’è appena il tempo di strappare l’autografo al vincitore per correre al vicino sportello bancario dove il rinfresco gentilmente offerto sta rischiando di sparire nelle voraci fauci dell’orda votante, prima la Benny, poi tutti gli altri a ruota.

Articolo e Foto di Michele "Frankie Machine" Frascari

3 commenti:

Martina S. ha detto...

Grande resoconto, Frankie.

Frankie Machine ha detto...

Eh Marti, tutto merito dell'organizzazione, mi son trovato veramente bene, che non diventi un sport fare il giurato?

Jlory80 ha detto...

Ragazzi c'ero anche io fra i 100 giurati, a saperlo ci beccavamo ;)))
Cmq è stata davvero un gran bella serata, i primi due classificati mi sono piaciuti molto entrambi.