Parlando di questo libro risulta difficile farlo senza partire da un’occhiata al titolo. Splendido nella sua originalità, nella poesia che traspare e nel potere altamente evocativo e cosi’ volutamente ambiguo, curioso nelle particolari percezioni che chiamano in causa un po’ il film IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON di David Fincher. Premessa, non ha nulla a che vedere con il racconto di Francis Scott Fitzgerald, ma il fascino rimane e il collegamento titolo del libro-immagine del film di Fincher è un flash che appare giustificato, per la sensazione di un viaggio temporale da vertigini, non proprio ordinario, che ci si appresta a vivere (in questo senso ha qualcosa di REQUIEM FOR A DREAM , libro psichedelico di Selby Jr e poi omonimo film di Aronofsky, come potenza e forza delle immagini). Una titolazione del genere, insomma, è un avviso ai naviganti di quanto la lettura sarà assai gustosa e ricca di anticonformismo.
Il libro, in lingua originale “Some Things That Meant the World to Me”, di Joshua Mohr, scrittore 33 enne esordiente di lavoro fa insegnante in una scuola famiglie ma che fa trasparire un potenziale grande futuro in campo letterario, è già stato oggetto di grande apprezzamento dalla critica e amato da una fetta considerevole dei lettori americani. Qual è il segreto di tanto successo? Cosa ha dato di cosi’ particolare, di nuovo questa scrittura al lettore di oggi?
L’originalità, senza dubbio, è tra elementi di spicco che balzano immediatamente all’occhio. Essere originali non è semplice, perché ormai oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, tanti grandissimi scrittori hanno avuto fortuna, si sono costruiti un nome, hanno dominato il loro periodo di fervente vitalità e ispirazione, firmando la propria grandezza con uno stile tutto loro, non facilmente esplorabile ancora piu’ a fondo. La continua ricerca di spazi da ritagliarsi, una propria nicchia che prenderà il proprio nome nella memoria di tutti, è difficile. E’ una giungla nella quale sgomitare non basta, se non si è in possesso di qualche formula magica capace di aprire il cuore di chi legge.
Il libro di Joshua Mohr puo’ essere considerato come una favola moderna , lacerante e straziante, molto scorbutico sotto certi aspetti ma allo stesso tempo zuccherato, commovente e piena di speranza, che nutre il lettore di intensa vitalità e partecipazione emotiva profonda, che si accende a intermittenza, in mezzo al frastuono di un dolore che pulsa sempre molto forte nell’animo del protagonista principe della storia.
Il tipo di scrittura è decisamente brillante, veloce, spesso accecante come flash improvvisi e martellanti, dettata dal ritmo di forza espressiva straordinaria, una freschezza inebriante, che sprigiona tanta elettricità e spinge a un livello di coinvolgimento sempre molto alto chi legge.
L’ impianto narrativo è una delle particolarità piu’ evidenti, molto vivace, dinamico, effervescente, caratterizzato da alcuni intrecci sociali che prendono vita, sottoposti a parecchi spostamenti, da una location all’altra, un rapido susseguirsi e alternarsi di situazioni, di volti amici e conosciuti per il lettore che entra fin da subito, con trasporto emotivo e tanta curiosità, nella storia. Ci si sente completamente immersi nelle vicende, tanto da sentire odori di immondizia, divani bruciati, piatti improbabili preparati con amore per l’altra persona, fumo, odori di scarico delle auto con una nitidezza tale da sembrare proprio li, sul posto, a far puzzare poi i propri abiti a cui si attaccano questi fastidiosissimi e pungenti aromi. L’arena degli avvenimenti è ben circostanziata, senza il rischio di eccessive (e autoreferenziali) divagazioni temporali e geografiche che creerebbero solo confusione e spaesamento.
Protagonista del romanzo, ambientato nella San Francisco tipicamente americana con in vista nel binocolo Phoenix in lontananza, è un giovane ragazzo con alle spalle un passato difficile, che si ubriaca spessissimo (come sarebbe altrimenti, in una città piena di bar notturni), con una madre piuttosto assente, alcolizzata e con un compagno che spesso abusava di lui sia verbalmente che fisicamente, con un nome da donna, Rhonda e inevitabili problemi psicologici di una certa gravità( e infatti, nel periodo presente a cui fa riferimento, va da uno psicologo chiamato Capelli d’Angelo, che poco pero’ ha potuto fare in pratica per correggerlo da alcune deviazioni di percorso di fatto, incorregibili), sofferente di “fuga dissociativa” o altrimenti detta “depersonalizzazione”. Lui pero’ non intende prendere atto della sua malattia, per paura, per orgoglio personale, per non minare una propria autostima che non viaggia a un chilometraggio elevato. Proprio per questo rifiuto netto della sua condizione mentale oggettiva, verrà catapultato in tutta una serie di visioni assolutamente anomale che lo condurrà a viaggi a basso volume nei vicoli di una San Francisco suggestiva nel bene e nel male, tra sogno, incubo e realtà, tra il caldo torrido, il sole cocente, la puzza intensa di scarichi, fogne e bidoni dell’immondizia.
Si farà guidare da un mini-rhonda, la versione di lui da piccolo, che lo aggancia a sè dopo una notte nella quale ha salvato una prostituta da massacro certo, è andato a letto a casa della donna ed è stato brutalmente insultato e cacciato immediatamente, colpa averle urinato sul letto come un bambino moccioso dopo aver consumato. E’ un ragazzo certamente pieno di contrasti interni irrisolti, guasti, forse irrimediabili, che cerca in mezzo alla nebbia in cui è avvolto una via di uscita. Il mini-rhonda permetterà lui di viaggiare in una sorta di mondo parallelo (ripercorrendo i suoi momenti passati) al contrario simile a quello di Lewis Carroll ma attualizzato, adattato ai tempi in cui sta sopravvivendo con le unghie ma anche senza troppa convinzione. E cosi’, tra fumo, grigiore spettrale della metropoli, incontri bizzarri e cassonetti nei quali è possibile aprire in fondo una botola con l’illusione e la speranza di una fuga in un “paese delle meraviglie” , Rhonda cerca di ricostruire un po’ i pezzi del suo puzzle andati persi.
Ha qualche amico, soprattutto Vern, nel bar che solitamente frequenta a furia di birre scolate, conoscerà una bella negoziante giordana di cui si innamorerà e infine una signora sessantenne che si chiama come lui, Rhonda, anch’essa alle prese con grossi problemi con il marito, che acquisirà una posizione sempre piu’ centrale nella vita di Rhonda, il quale cercherà a sua volta di rimettersi in carreggiata, seppur con altalenante successo. Tra delusioni cocenti e momenti di ritrovata serenità che sembra assumere quando viene raggiunta, un valore paradisiaco e liberatorio per tutti i suoi cinque sensi, tra le intense chiacchierate botta-risposta serrate con il suo psicologo Capelli d’Angelo, tra passeggiate e chiacchierate con il suo “io quando ero piccolo” amico immaginario, prima o poi dovrà scontrarsi per la resa finale dei conti con il passato che ha lasciato su di lui la pesantissima eredità di una vita completamente stravolta, di cui non sembra neanche accorgersi di vivere in molti momenti del suo presente.
Certamente il libro si gioca tantissimo sull’analisi del personaggio, si muove costantemente nell’immersione in punta di piedi ,anche se a volte cruda e agonizzante, in Rhonda, dentro a un’anima fatta a pezzi, disintegrata, quasi rottamata, di cui si vede appena un minimo di senso di quello che era un tempo, se mai ne abbia mai avuto uno. Rhonda deve capire chi sia, chi sia stato e cosa abbia fatto nel suo trascorso che ormai ricorda solo a flash e a fotogrammi mentali che lo accecano ogni volta che vengono a bussare alla sua porta. E’ confuso, è alla ricerca continua di se stesso. La sua libertà dipende da come riuscirà a prendere atto di cio’ che è stato e da come riesce a liberarsene. Solo cosi’ potrà sganciarsi da una prigionia psicologica che sembra tenerlo sempre sotto scacco. Imprigionato, ostaggio di sé stesso, a sua volta vittima di indifferenza e violenza, che sembrano essere alla base della sua crescita problematica. Ci sarà un modo per abbandonarsi finalmente al resto di un’esistenza libera e leggera?In fondo ha solo 30 anni, potenzialmente avrebbe davanti a sé la possibilità di una rinascita, di una seconda vita.
Il viaggio dentro al quale ci proietta Mohr con un linguaggio, come detto, intenso, vivo, carico di potenza espressiva e luci accecanti , suggestioni, è maledetto, disperato, ma anche profondamente affascinante capace, senza presunzione di pretese assurde, di indagare a fondo, l’animo umano, nella sua ricerca di un senso da darsi. E’ palpabile in tutto il libro la sottolineatura dell’importanza (quasi necessaria) di voltarsi, guardare cio’ che si è stati, comprendere e prendere atto di cio’, chiudere la porta, tornare al presente, viverlo intensamente senza piu’ distrazioni, e guardare avanti per poter costruire qualcosa che abbia un senso da li’ in poi. C’e’ una certa impotenza frustrante in tutto questo. C’e’ un timore insito nell’uomo ad affrontare il futuro spogliato del passato, una sorta di chiusura centralizzata automatica nei confronti di un pericolo di aggressione dall’esterno di fantasmi sempre pronti a braccarti , e il tutto assume il senso di un accerchiamento claustrofobico. Cosa serve per andare avanti, senza voltarsi piu’ appesantiti da zavorre come rimpianti e rimorsi? Una birra? Sesso sporco? Il fumo? No, serve un ambiente sereno in cui cercare stabilità e affetti. E forse, Rhonda, riuscirà a mettere la parola fine alle sue continue , disperate, lotte interne.
Articolo di Matteo "Andryi" Spinelli
Dettagli del libro
- Formato: Brossura
- Pagine: 228
- Lingua: Italiano
- Titolo originale: Some Things That Meant the World to Me
- Lingua originale: Inglese
- Editore: Elliot Edizioni
- Anno di pubblicazione 2010
- Codice EAN: 9788861921153
- Traduttore: G. Maugeri
2 commenti:
lasciano grandi emozioni le tue parole Matteo... :))))
Ti ringrazio molto Stefania, come sempre sei gentilissima:-))
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