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martedì 27 aprile 2010

Il tempo degli strani imperatori - Ignacio Del Valle


Una tale catena di sofferenza che il dolore finiva per neutralizzarsi da solo.

E’ una tentazione irresistibile. Sono due gli elementi che combinati provocano al lettore qui presente un desiderio compulsivo di avere quel libro. Il gelo e la morte, freddi entrambi, sullo sfondo di un conflitto storico. Il canto della sirena parla di terre lontane rese statue dai ghiacci. E’ un clima ostile di un pianeta alieno, in cui la vita si è ritirata nell’attesa, che non sarà mai soddisfatta, di un ritorno al calore della luce. Lampi di fuoco si specchiano in questo gioco di riflessi, rimbombi sottolineano il silenzio che poi attutisce urla e imprecazioni, come un sordo salmodiare. Nel bianco immoto che mette in fuga i colori si svolge una grande guerra, una lunga battaglia, con uomini che si sottraggono la vita a vicenda. Leningrado, 1943, la morte lecita, la regola in guerra. E’ difficile pensare che qui, dove chi ammazza di più è un eroe, vi possa essere la minima considerazione per un delitto.
Non dovrebbe essere questo il tempo per perseguirlo, non questa la condizione che legittima la volontà di punire chi l’ha commesso.
A parlar di crimini in guerra si passa per intellettuali, per svagati di mente. Eppure la scena iniziale non lascia adito a dubbi: come un quadro di De Chirico, surreale e terribile assieme, un branco di cavalli ormai rigidi nello spessore gelato di un lago; e il primo davanti ha ancora in sella un cavaliere, bianco per il sangue perso da uno squarcio profondo sul collo, al petto, incisa con un coltello, la frase: "MIRA QUE TE MIRA DIOS”.
E’ della Division Azul, una compagnia spagnola che il generalissimo Franco elargisce in pegno ai tedeschi per una contropartita di puro potere, un debito ripagato sulla pelle dei soldati di ventura del proprio paese. Un morto ammazzato non cambia le cose, ma se chi l’ha ucciso è dei tuoi allora ne va dell’onore, del rispetto, magnificati dalla retorica che è pane quotidiano in guerra. Arturo Andrade, un passato nei servizi segreti, si trova nella condizione più utile: è un ex tenente ora degradato, può coltivare i migliori indizi che la gerarchia gli impone di considerare. Ma se in tanti vogliono manovrarlo, Andrade sa strategicamente porli l’uno contro l’altro, avanza per la sua strada.
Gli fa da spalla il Sergente Espinosa, nella vita civile professore assistente di chimica presso l'Università di Madrid, con un carattere segnato dalla sofferenza per le ulcere allo stomaco. In quel loro combattere contro l’inclemenza degli elementi, stoico e di convinzioni inalterabile, c’è la tragicità e l’epica del Cervantes. La purezza d’animo che sostiene il senso del dovere. E sul cammino altri morti li aspettano con il loro sangue a ricordare loro che la luce della ragione si spegne per i moventi di sempre: odio, invidia, vendetta. Di tempo da perdere non ce n’è, un bastardo sta scannando mezza Divisione, i tuoni della controffensiva sovietica sono sempre più vicini e gli strani imperatori, con il volto squadrato delle SS, prima di rinunciare ai propri domini vogliono bonificare il mondo dall’umanità perdente.
La scrittura è inaspettatamente calda, mediterranea, e in questo contrasto con la rappresentazione dell’inferno bianco sulla terra gioca la sua carta migliore. L’indugiare dello sguardo sull’orizzonte omnicomprensivo del paesaggio russo è interrotto da macchie istantanee di colore che balzano vivide contro il grigio funereo. L’arancio maturo di Andrade che ritorna o le forme di formaggio grandi come soli che riposano nelle riserve sono la tangibile dimostrazione di cosa poteva essere se si fosse rimasti a casa. Quello che invece si confronta sotto traccia è l’analisi della condizione umana, esplorata nella dimensione più tragica in cui può esprimersi, in un teatro di passioni dove le parti sono completamente rovesciate, dove i copioni sono stati riscritti da un folle. Odio e amore, desideri e ambizioni, sogni e ricordi, che si incontrano sul suolo neutro di una parentesi di immobilità dove non c’è progresso, non c’è futuro, ma sempre e solo il presente con il suo spettrale livore ed i morti a fare compagnia ai vivi. Che cos’è che permette di rimanere umani quando tutto attorno si dedica alla barbarie? Il tempo degli strani imperatori è il secondo di una trilogia ambientata nel periodo della seconda guerra mondiale, premio della critica delle Asturie e menzione speciale del premio Dashiell Hammett, sarà presto un film.

Per affrontare l’incertezza che si ergeva davanti a lui era necessario individuare ciò che è realizzabile, che si nutre di ciò che è immaginabile, che a sua volta si alimenta di ciò che è verosimile, e quest’ultimo di ciò che è probabile.

Articolo di Michele "Frankie Machine" Frascari

Dettagli del libro
  • Genere: Letteratura
  • Collana: Narrativa
  • Editore: Giunti
  • Lingua/Edizione: Italiano
  • CM: 86997J
  • ISBN - EAN: 9788809056497
  • Pagine: 352
  • Formato cm: 14 x 22
  • Edizione: 2009
  • € 14,85

5 commenti:

Lofi ha detto...

"Che cos’è che permette di rimanere umani quando tutto attorno si dedica alla barbarie?"
Frankie mai sotto l'eccellenza nelle sue recensioni. Senza parole. Da mettere in wishlist subito!

eccozucca ha detto...

Frankie straordinario come sempre..e poi dici a me di scrivere? ^_^ ..questo libro mi attraeva già per molti motivi compresa la copertina..ora è da prendere ..assolutissimamente !! Grazie Frankie !!

Briciole di tempo ha detto...

Le recensioni di Frankie sono sempre uniche!!!!!
Non amo molto i libri che parlano di guerra ma lo stile con cui ne parla Michele è molto intrigante...

Martina S. ha detto...

Spelndida recensione, Michele. Il libro mi intriga moltissimo.

Frankie Machine ha detto...

Uh, mi era scappato. Gran libro, forse non l'eccellenza, ma comunque pagine di bella letteratura, notevole capacità di ricreare un clima interiore che si rispecchia nell'ambiente attorno. Aspetto con curiosità il prossimo.