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domenica 28 marzo 2010

Le anime delle navi - Brian Freeman (racconto inedito)



Ebbi una visione del lago.
La nebbia si sarebbe ammassata sulle acque del Lago Superiore, raccogliendo nuvole di umidità dalle onde. Dentro la foschia, si sarebbero formati cristalli di ghiaccio, sempre più pesanti, per poi fluttuare sulla superficie sotto forma di neve a larghe falde. Ad un certo punto durante le ore nel cuore della notte, il fronte della tempesta si sarebbe spostato verso terra attraverso la città e il porto. Quello sarebbe stato il momento in cui avrei catturato la visione, proprio mentre la furia degli elementi convergeva sul ponte sollevabile verticale che si alzava e si abbassava per permettere l'ingresso delle grandi navi da carico del lago. Le luci scintillanti avrebbero segnato il contorno buio del ponte e avrebbero illuminato l'esercito invasore di nebbia e neve.
Finché non l'avessi ripresa , esposta e stampata, la visione avrebbe rifiutato di lasciare la mia immaginazione. Così rinunciai a dormire e sistemai la mia macchina fotografica vicino allo stretto canale che collegava il lago al tranquillo porto interno. Infreddolito e impaziente, aspettai per parecchie ore, colpito da forti e brutali raffiche di vento. Mentre la notte trascorreva lentamente, le tremolanti luci sul ponte mi tenevano sveglio a stento. Ma la nebbia rimaneva ostinatamente sospesa sul lago e rifiutava di spostarsi all'interno. La mia mente si allontanava mentre guardavo il ponte quando le acque del lago iniziarono a girare in cerchi leggeri. Sbattei le palpebre parecchie volte e battei una contro l'altra le mani con i guanti. Questo mi aiutò un po'.
Solo allora mi accorsi che non ero solo. Una donna mi aveva raggiunto nel parco.
Non l'avevo notata prima; doveva essersi fatta strada sul lungolago, lottando conto il vento, fino a raggiungere il marciapiede che costeggiava il canale. Ora si trovava lì in piedi, a fissare il lago verso nord. Diedi un'occhiata attraverso l'obiettivo della mia macchina fotografica. Era perfettamente inquadrata, rimpicciolita alla sua destra dal ponte torreggiante e alla sua sinistra dal lungo molo che si estendeva verso il largo.
Aveva i capelli neri lunghi e ondulati, che il vento sollevava e con i quali giocava come un ragazzino che tira i fili di una ragnatela. Indossava un cappotto grigio chiaro che le arrivava alle caviglie e aveva le mani infilate in tasca. Era il cappotto sbagliato per quella stagione, inadatto all'aria gelida. Ma il freddo non sembrava darle fastidio. Si ergeva alta e snella, con le spalle squadrate, impassibile fra le raffiche di vento che mulinavano attorno a noi. La guardai, vergognandomi un po' di intromettermi in un suo momento privato e di ammirare il suo profilo attraente come se fossi stato un guardone. Non era più giovane, ma era una di quelle donne la cui bellezza sembra intensificarsi man mano che maturano. Le rughe che si formano ridendo solcavano il suo viso come mezze lune attorno alle labbra, come se un tempo fosse stata felice e dal sorriso facile. Ma sentivo che era stato molto tempo fa. Ora le sue deliziose labbra erano increspate e il suo sguardo lontano era triste.
“Deve aver freddo,” dissi, per attirare la sua attenzione.
La donna si girò e mi vide, meravigliata e sorpresa di non essere sola. Non credo che si sentisse disturbata perché la sua veglia solitaria era stata interrotta, ma non sapeva cosa dire. Dopo un momento di esitazione, lasciò il bordo del canale e mi si avvicinò.
“Suppongo che siamo due figli della notte,” disse. Sembrava che la sua voce sommessa venisse inghiottita dai forti venti del Superiore. “Mi chiamo Caroline.”
“Fa molto freddo. Vorrebbe prendere il mio cappotto per un po'?”
Caroline scosse la testa. “Lei è molto caro. Ma sto bene. Dopo così tanti inverni e così tante notti qui, mi accorgo di non sentire più il freddo.”
Risi. “Vorrei poter dire la stessa cosa. Vivo qui da vent'anni e ad ogni stagione mi ricordo cosa significa aver freddo.”
Anche Caroline fece una risata, breve e incantevole.
“Che cosa la porta fuori così tardi?” le chiesi.
Si voltò e studiò di nuovo il lago, con gli occhi azzurri accesi dallo struggimento. Mi chiesi cosa vedeva là fuori, nell'oscurità.
“Sto aspettando,” disse Caroline dolcemente. “Sto aspettando che Jonas ritorni.”
“Jonas?” chiesi.
I suoi occhi erano luminosi come stelle, e le sue labbra si stesero in un sorriso segreto. “Mio marito,” rispose. “E anche il mio confidente. Il mio poeta. Il mio amante. Sin da quando eravamo bambini. Questo è il vero amore, non crede, perdere di vista dove finisce un'anima e dove inizia l'altra?”
“E' un dono raro. Lei è molto fortunata.”
“Ah, ma l'ho perduto,” mi disse in un sussurro sensuale. “L'ho perduto per un altro amore.”
Arrossii. “Mi dispiace molto.”
Lei mi sorrise con indulgenza. “Non una donna. Oh, no. Il mare. Lo sapevo fin dall'inizio che avremmo vissuto le nostre vite in un ménage à trois. Jonas, io, e questo terribile lago. Vede, ho imparato a condividerlo. Ma non gli ho mai detto quanto ciò mi uccideva dentro. Tutti quei giorni e quelle settimane separati. Se riesce ad immaginare di vivere con soltanto metà del suo cuore, metà dei suoi ricordi, ecco così ero io.”
“Lui è in procinto di tornare?” chiesi.
“E' in ritardo,” disse lei. “In grande ritardo.”
Iniziai a capire.
“Lo guardavo pilotare la sua nave attraverso questo canale,” continuò Caroline. “Stavo qui proprio dove siamo ora. Stava arrivando una tempesta quel giorno, all'orizzonte c'erano nubi fosche ed impetuose. Lo vidi sul ponte della nave, così fiducioso e serio. Guidare la Marie Mon Amour significava tutto per Jonas. Lei era il suo amore, assieme a me. Ecco perché lo so. Lui la riporterà indietro attraverso questo canale. Io ho intenzione di essere qui quando lo farà.”
Mi accorsi che c'era qualcosa di sbagliato. Era nella sua voce. Potevo sentire l'eco della tragedia e forse anche della pazzia di un'amante. “Nessuna nave da carico cercherebbe di entrare nel canale ora, Caroline,” le dissi gentilmente. “Sicuramente non con la nebbia che c'è là fuori.”
Caroline si voltò verso di me. Vidi le lacrime luccicare nei suoi occhi. “Lei non capisce. Succede sempre ora. Questo è il momento in cui le navi tornano a casa. Le ho viste. Non la Marie Mon Amour. Non il mio Jonas. Ma ho visto altre navi e altri uomini. So che erano mariti e amanti, così li salutavo, come avrebbero fatto le loro donne. Loro non ricambiavano il saluto, naturalmente. Erano solo delle ombre, intenti al loro lavoro. Per loro era abbastanza essere a casa, passare finalmente sotto il ponte, dopo così tanto tempo nel purgatorio dell'acqua.”
Mi resi condo di cosa doveva esser successo a Jonas, e mi chiesi da quanto tempo lei lo aveva perso per colpa del lago. Da abbastanza tempo per alimentare un'illusione, per credere negli spiriti. “Sono navi fantasma?” chiesi, tentando di nascondere la mia incredulità. “Quelle che vede?”
“Le chiami come vuole. Vengono solo di notte. Soltanto quando la nebbia si infila dentro come un manto.”
Cosa voleva dire? Fissai l'oscurità del lago, e l'oscurità sembrò muoversi, strisciando furtivamente verso di me, oscurando le estremità del molo. Le luci gemelle su entrambi i lati del canale si dissolvevano in vaghi bagliori gialli. Con straordinaria rapidità, la nebbia iniziò a farsi largo a forza dall'acqua e a superare il bordo estremo della città.
“Guardi,” disse Caroline, stendendo la mano verso il mare.
Era proprio come la mia visione.

Caroline guardò la nebbia come se potesse vedervi dentro le navi. “Talvolta penso a come dev'esser stato quella notte sul lago. Dicono che le onde possono sollevarsi alte come edifici, riesco appena ad immaginarlo. Mi chiedo se Jonas avesse paura. Non avrebbe mai mostrato ai suoi uomini la paura. Loro potevano aver paura, ma non Jonas. Non è bello, lo capisce. Poiché era la sua prima nave, dicevano che era stata colpa sua. Dicevano che era per la sua inesperienza, e che un capitano più vecchio avrebbe guidato la nave in salvo attraverso la tempesta. Sciocchi, tutti loro erano al sicuro sulla terraferma. Dio, dev'esser stato terribile. Sono navi così maestose, provi a immaginarle che salgono e scendono nelle vallate di quelle onde immense. Lo sa che talvolta ascolto e posso sentire le urla? Mi fa venir voglia di girarmi dall'altra parte, quando sento un tale dolore e terrore. Provo a immaginare i pensieri di Jonas in quegli ultimi secondi, quando sapeva che il Superiore lo avrebbe sconfitto. Mi chiedo se pensasse a me.”
“Sono sicuro che lo ha fatto,” fu tutto ciò che potei sussurrare. I miei brividi peggiorarono, ma non era il freddo invernale che mi raggelava.
“Continuo a pensare che un giorno vedrò la Marie Mon Amour qui. Vedrò Jonas. Voglio solo che lui sia libero.”
“Sicuramente lui è libero ora. Tutti loro lo sono.”
Caroline scosse il capo. “Le navi sono intrappolate là fuori. Qualche volta sento quelle grida, quelle di coloro che si sono perduti, incatenati dalla maledizione del lago. È così raro che la maledizione venga tolta. Come ora. Prima arriva la nebbia, e poi la neve.”
Alzai lo sguardo meravigliato e vidi l'aria spazzata da enormi raffiche, da migliaia di fiocchi di neve che vorticavano dentro e fuori dalla nebbia. Una fine polvere bianca si posò sul terreno. Ben presto la tempesta avrebbe raggiunto il ponte e si sarebbe fusa con le luci. La mia visione sarebbe stata completa.
“Cade la neve,” aggiunse Caroline con voce sommessa. “Poi arrivano le navi. Non c'è nessun ordine né piano, nessun nesso né logica. Il potere arriva divinamente, e una delle navi viene liberata dal fondale. Continuo a sperare, continuo a venire, perché so che un giorno sarà vero, e il fato che libera le anime delle navi sceglierà la Marie Mon Amour. E lì ci sarà Jonas, a pilotare la nave sotto la campata del ponte, molto concentrato, mentre guida i suoi uomini verso il porto.”
Gli occhi di Caroline rispecchiavano una profonda trance. Non dissi una parola, e lei si allontanò da me, tornando verso il bordo del canale. Sollevò le braccia e sembrò che richiamasse la nebbia e la neve su di noi.
“Jonas!” gridò, a malapena udibile sopra i forti venti. “Jonas, torna da me!”
La tempesta aumentò attorno a lei, ma il fato era silenzioso. Soltanto i venti dell'inverno risposero.
“Jonas,” ripeté, cadendo in ginocchio.
La sua voce si smorzò nel grido più desolato. Vidi che abbassava la testa. C'era nulla che io potessi fare? Impotente, guardai le spalle di Caroline che tremavano sotto il peso dei suoi singhiozzi. Lei era venuta di nuovo qui, aveva chiamato di nuovo, e l'unica risposta che aveva ricevuto era stata quella della tempesta pungente.
Poi come per magia, prima che potessi andare da lei, il lago sembrò restituire i suoi morti.
Come un rombo di tuono, da qualche parte nell'oscurità della nebbia, la sirena di una nave annunciò che si stava avvicinando al ponte. Sentii un brivido di paura. Pochi secondi dopo, ugualmente forte e allarmante, una sirena rimbombò in risposta dal ponte sollevabile alzato, invitando la nave a entrare in porto. Con mio grande stupore, vidi il cuore del ponte d'acciaio sbatacchiare verso il cielo.
Caroline si alzò, con gli occhi paralizzati da un'ombra gigantesca sospesa sul molo di pietra. Le lacrime si gelavano sul suo viso come perle di ghiaccio. Il freddo solitario, mescolato ora alla speranza, faceva ardere le sue guance, rosse e vivaci.
Io rimasi paralizzato, non credevo a ciò che i miei sensi mi dicevano essere vero. L'acqua gelata non rifletteva nessuna increspatura di disturbo. Ma innegabilmente, c'era qualcosa là fuori. Una nave stava passando attraverso l'acqua del lago, manovrando verso le luci di accoglienza del ponte.
Un'ombra si staccò dalla nebbia. Un attimo prima la nave era stata invisibile, e ora sembrava abbastanza vicina da poterla toccare. Con grazia consumata, un'enorme nave da carico scivolò attraverso lo stretto varco nella penisola. Guardandola, seppi perché Caroline credeva a quello che faceva. La nave era un fantasma di luce e ombra, pilotata da estranei anonimi, che navigavano in assoluto silenzio. Mi ipnotizzò. Anche Caroline era incantata dall'arrivo della nave. Era abbastanza facile immaginarla perduta nella morsa di una terribile tempesta, immersa in una fredda tomba sott'acqua, e risorgendo poi nella protezione della nebbia per un ultimo viaggio.
All'ultimo secondo, mi ricordai della macchina fotografica. Lanciai uno sguardo affrettato attraverso l'obiettivo, vidi Caroline inquadrata in primo piano contro la nave che appariva in lontananza, e feci scattare l'otturatore. I misteri della nave non potevano calmare la mia euforia. Avevo catturato l'assalto della tempesta, ancor più vividamente di quanto avevo sperato. In breve mi dimenticai del dolore di Caroline. Mi dimenticai della speranza e dell'ansia sul suo viso. Ero eccitato.
Poi quando mi allontanai dalla macchina fotografica, vidi la sua delusione.
Caroline era più vicina al canale. Quando si girò verso di me, seppi che aveva visto il nome dipinto a lettere bianchissime sullo scafo rosso. La verità scritta sul suo viso era quella che doveva essere. Questa non era la nave di suo marito.
La nave fu inghiottita troppo presto dalla nebbia nel porto. A poco a poco il ponte si abbassò, poi le luci smisero di lampeggiare, e il mondo fu di nuovo quieto. Guardai Caroline. Il ponte si era abbassato sul suo sogno, e un'altra notte era passata. Mi chiesi se credeva ancora che avessimo appena visto le anime dei morti, accompagnati attraverso un passaggio verso la loro liberazione finale. Mi chiesi se, al mattino, ci avrei creduto anch'io.
“Torniamo in città?” chiesi.
“No, non posso. Lei è molto gentile ad ascoltarmi. Ma ho aspettato a lungo, e aspetterò qui finché sarà necessario.”
Così la lasciai lì e tornai alle calde coperte del mio letto per una notte di sonno molto breve. Il giorno seguente, mi rinchiusi nella camera oscura improvvisata che avevo allestito nella stanza libera nel mio appartamento. Le mie mani tremavano mentre mescolavo i reagenti. Lo avevo fatto migliaia di volte, ma l'ansia di vedere l'immagine finita mi distraeva.
La fotografia si sviluppò nella luce rossastra esattamente come la visione che avevo immaginato: i cerchi nebulosi di luce bianca in punti simmetrici sul ponte; pesanti nubi di nebbia che coprivano a chiazze l'acciaio nero; la neve a larghe falde che arrivava dal lago in fiocchi bagnati. Era il miglior lavoro che avessi mai fatto. La tenni in mano, ancora umida, come se fosse stata un tesoro. Lentamente i miei occhi si posarono sui dettagli sgranati del fotogramma.
Sapevo che cosa mi ero aspettato nelle mie fantasie più oscure. La sovrastruttura del ponte sarebbe stata abbassata; la grande nave da carico, come un fantasma, sarebbe svanita. Era un sogno pazzesco. Presi fiato con più calma, vedendo lo scafo lungo e confuso che strisciava sotto la campata bagnata di nebbia, proprio come lo ricordavo. Il racconto di Caroline non poteva nascondere la verità. Era una nave vera quella che avevamo visto assieme.
Sorrisi.
Poi il brivido nervoso, che se n'era appena andato, rifluì lungo la mia spina dorsale. Improvvisamente la fotografia nelle mie mani sembrava qualcosa di pauroso ed estraneo. Non poteva essere! La riguardai bene da tutti i punti di vista come se avessi fatto un terribile errore. Ma la nave, il ponte, e la nebbia erano tutti lì, incorniciati dal fianco del canale. Caroline era stata nel centro – l'esatto punto focale – di tutta la foto. Echi della nostra conversazione riverberavano nella mia testa. Volevo credere di aver sognato tutto.
Invece la verità sembrava solo troppo ovvia.
I miei sospetti furono confermati alcuni momenti più tardi da un volumetto dedicato ai disastri marittimi. Caroline aveva davvero aspettato a lungo per riunirsi con la sua anima gemella. La Marie Mon Amour, sulla quale il Capitano Jonas Edquist aveva perso la vita, era affondata al largo dell'Isle Royale nel Lago Superiore nel 1931.

Brian Freeman è l'autore di quattro thriller psicologici, disponibili in italiano, POLVERE E SANGUE, LA DANZA DELLE FALENE, LAS VEGAS BABY, e IMMORAL. Il suo quinto romanzo sarà pubblicato in Italia nel 2010. Trovate maggiori informazioni sui suoi libri sul sito www.bfreemanbooks.com o contattate l’autore su Facebook alla pagina www.facebook.com/bfreemanbooks.


Traduzione di Martina Sartor (Palazzo Lavarda)
con la consulenza di Daniela Contini

5 commenti:

IL KILLER MANTOVANO ha detto...

Un Brian Freeman diverso e insolito ma non per questo meno efficace. La capacità di Brian di tenere desta l'attenzione del lettore è sempre evidente e la tensione rimane alta. Un racconto ricco di pathos e poesia.
Faccio i miei complimenti a Martina (e Daniela); credo che la traduzione non sia stata affatto facile, anzi direi proprio una bella patata bollente.
Ottima modo per celebrare il compleanno di Brian!!!

Anonimo ha detto...

Bel racconto che rinnova una tradizione ("sogno" e realtà)che affonda le radici in un passato lontano. Prosa leggera, fresca e nello stesso tempo inquietante senza un eccesso di troppo.
Complimenti ancora a Martina, a daniela e a Enzo che l'ha pubblicata.
Fabio Lotti

Martina S. ha detto...

Sì, Killer: traduzione abbastanza 'ostica', sempre per il timore di aver capito male (e grazie a Dani per la preziosa consulenza!), proprio per il giocare dell'autore sull'ambiguità sogno/realtà.
Ci credete che io stessa non ho ancora capito se Caroline stessa è un fantasma o no?
Ehehehe...

IL KILLER MANTOVANO ha detto...

Per me è un fantasma :-)

Anonimo ha detto...

Quando si dice le combinazioni. Nel momento in cui è stato pubblicato il racconto di Freeman stavo leggendo proprio qualcosa di simile con "La confessione postuma" di Remigio Zena (siamo nella seconda metà dell'Ottocento) in "La monaca insanguinata" di Charles Nodier, Coniglio 2010. Praticamente il "sogno" di un prete raccontato al suo Monsignore nel quale aveva incontrato una donna morta che ritrova successivamente nella realtà.
Fabio Lotti