"LA LUNA DI CARTA" di ANDREA CAMILLERI
(tratto dall'omonimo romanzo di A. Camilleri, edizioni Sellerio)
Una pittrice americana, Georgia O’Keeffe, ha espresso una chiave per il suo lavoro(durato dal primo decennio del secolo scorso fino agli anni ’70), che mi piace qui ricordare: “Niente è meno realistico del Realismo. E’ solo per selezione, enfasi o elisione, che si può giungere al vero significato delle cose.”
La luna di carta trova la via del palcoscenico non come ricostruzione realistica di ambienti, vicende e personaggi, ma avvalendosi della radice più antica e propria del Teatro: La Memoria.
D’altronde non è il Teatro il luogo per eccellenza della Re-Citazione?
I personaggi trovano lo spazio per evocazione. E come accade nel ricordo i dati perdono linearità, i contorni si sfumano, o assommano, o stilizzano, in base allo sguardo di chi li vide.
Questo Montalbano che sente l’incombere della mezza età, coi suoi passaggi fisici ed emozionali, vive tutta “in soggettiva” la vicenda. La intride della propria esistenziale malinconia, accentua lineamenti e osservazioni. Si lascia – come suo solito- trascinare dagli aspetti umani della vicenda, stordito dal fascino femminile e rischia di mancare il bersaglio. Anzi, lo manca. E’ solo il caso che ricompone la vicenda “anche” secondo il suo schema.
L’indagine prende le tinte del noir per snodarsi fra ombre, malumori, e subitanee brevi accensioni.
In un recente divertissement Andrea Camilleri ha scritto:” (…) La memoria questa notte/ è una talpa malandrina/ scava buche inverte rotte/ d’un viaggio tutto in china(…)”. Anche questa frase può essere prestata al pur sempre spassoso Montalbano de La luna di Carta.
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