Sul giallo italiano
Esiste o non esiste? E se esiste…
Questa volta voglio proporvi un argomento interessante su cui riflettere insieme: il giallo (inteso in senso lato) italiano. Intanto vediamo se esiste, perché qualcuno sembra mettere in discussione perfino la sua stessa forma di vita. Per esempio Nicola Villa (?) che ha intitolato proprio un articolo “Il giallo italiano non esiste” pescato nell’”Angolo nero” della nostra brava Alessandra Buccheri (andate a darci un’occhiata). Villa non la fa tanto lunga, riprendendo un concetto di una certa “giò” che su aNobii aveva lamentato l’inconsistenza e dunque l’inesistenza del giallo italiano sempre ripetitivo e sempre uguale a se stesso. Con i soliti personaggi e le solite trame.
Aspetto di leggere (se ne avete voglia) il vostro parere ma il mio è che addirittura il giallo italiano esista fin troppo. Nel senso, come ho già scritto da qualche altra parte, che non c’è città o sperduto paesino di campagna che non abbia il suo bel commissario o la sua bella commissaria tanto che, prima o poi, mi prefiguravo anche quello di quartiere che venisse ad arrestarmi “per avere ucciso con un colpo ben assestato di ciabatta il ragnetto che pendeva schifosetto nel mio piccolo studio”. Tutti scrivono romanzi polizieschi. Dai più infimi ai più noti come dimostra “Un innocente vampiro” del famoso etologo Danilo Mainardi che ho proprio qui sotto gli occhi nel momento in cui scrivo (carino ma niente di più).
Il giallo italiano è ben vivo e vegeto e non c’è bisogno di scomodare Augusto De Angelis quando, negli anni Trenta, si mise in testa di realizzarlo “Io ho voluto e voglio fare un romanzo poliziesco italiano”. Ci riuscì, eccome!
Altro punto interessante. Vitaliano Trevisan in “Le inutili denunce dei nostri scrittori” (“la Repubblica” del 21 luglio 2009) scrive che la letteratura per ora resiste “A patto di non trasformarsi in uno di quei professionisti della realtà che infestano il globo e di cui l’Italia è ormai satura, che volteggiano leggeri sulle periferie diffuse in cerca di cadaveri. Il tempo di spolparli e di cagare la relativa narrazione, e via di nuovo in volo, in cerca di un terremoto, di una guerra, di un assassino, di una vittima, di una qualsiasi sfiga, purché di mercato”.
Se non vado errato una critica in forma di metafora anche a certe diramazioni che ha preso il nostro giallo pescando nel sociale. Critica, mi pare, esagerata e retrograda che non ammette cambiamenti di sorta, tutta incentrata sulla Letteratura con la L maiuscola che non se ne può più.
Il terzo punto riguarda le vendite ed una domanda che spesso fa capolino da tutte le parti. I libri che vendono di più sono sempre i migliori? E’ la qualità che conta o la sponsorizzazione? Quanto incide la prima e quanto la seconda? Se prendiamo il caso di Faletti sembra, a detta di molti, che la seconda abbia preso il sopravvento. Però se il Falettone, che mi sta pure attaccato proprio lì, continua a vendere una qualche ragione a suo vantaggio ci deve pur essere e l’antipatia fa spesso velo all’obiettività.
Andiamo avanti. Le recensioni rispettano davvero il valore del libro? Ecco un punto dolens. Per interesse naturale e interesse pratico giro quasi tutti i giorni fra molti blog (tengo una rubrica a proposito su “Thriller Magazine”) e leggo una marea di recensioni. Ebbene, secondo una mia opinione del tutto opinabile (opinabilissima), molte mi sembrano un tantinello esagerate, frutto, magari pure istintivo, di simpatie ed amicizie. Elogi sperticati di lavori che, a mio modesto parere, possono ritenersi accettabili e niente di più, talvolta pure buoni, raramente eccezionali. C’è quasi una sorta di istintiva difesa dell’autore nostrano, come se fosse bisognoso di cura e protezione continua. Posizione legittima, si capisce, e in parte da comprendere anche perché per molto tempo nel nostro paese ha tirato un’aria fortemente esterofila. Ma ora credo che il giallo italiano sia cresciuto e sia forte abbastanza per camminare da solo. Facendo tutti belli e tutti bravi non si rende merito ai belli e ai bravi per davvero.
A volte qualcuno mette pure in dubbio che i libri vengano letti come Stefano Di Marino il quale, intervistato su Liberidiscrivere, sottolinea a proposito delle recensioni dei suoi lavori, ”Ricordo con piacere quelle in cui ho capito che il recensore aveva letto il romanzo... Sic transit gloria mundi...preferisco le lettere dei lettori”.
Non c’è più religione.
Articolo di Fabio Lotti
7 commenti:
Grazie della segnalazione, Fabio :)
E grazie dello spunto di riflessione rispetto al fatto che certe volte l'amicizia prende il sopravvento sull'obiettività. Ci penserò.
Il fatto è che spesso, quando conosci l'autore, impari anche retroscena e sottotrame del libro, e questo lo rende (obiettivamente) più appassionante.
Però prometto di rifletterci su un po' :)
Il ragionamento fatto da Fabio (e evidenziato da Alessandra) è effettivamente realistico e un rischio concreto per tutti noi appassionati e addetti ai lavori. Lo stesso appunto mi è stato fatto da Tecla Dozio durante l'incontro mantovano per il ciclo itinerari noir.
Nell'approcciarsi ad un romanzo credo sia necessario erigere una specie di barriera e giudicare in maniera neutra e a mente serena.
Mi rendo conto che non è facile ma è una azione essenziale per la salvaguardia dell'obiettività.
Bravo Fabio.
Condivido in toto. Ci sono più commissari di polizia letterari che reali. E faccio anche outing. Io commento su anobii e recensisco su un sito di scrittura e lettura. Troppo spesso - vergognandomi di me stessa - evidenzio le cose migliori e taccio le peggiori, per non farmi dei nemici. Se proprio ho delle perplessità enormi, taccio.
Poi, dimostrando una incoerenza notevole, mi arrabbio un sacco quando leggo recensioni che palesemente sono "buone". Dico palesemente perché gente come noi, che da decenni legge un centinaio di libri l'anno, capisce bene la differenza tra quel che è buono e quel che non lo è. E se una scrittura è insufficiente, o una trama è ridicola, o un commissario inverosimile, non si tratta di questione di gusti. :-(
Vorrei anche aggiungere che certe recensioni "gonfiate" risultano spesso controproducenti perché possono creare nel lettore delle attese che sfociano in vere e proprie delusioni.
Per essere intellettualmente onesto devo dire che anche il sottoscritto, pur facendo tutto il possibile per restare obiettivo nel giudizio (secondo i miei limitati parametri) può essere involontariamente influenzato da fattori esterni come tutti i recensori. Lapalissiano ma è bene che lo sottolinei.
Fabio Lotti
Interessante spunto di riflessione.
Probabilmente è vero che in Italia cominciano ad esserci un po’ troppi commissari però purtroppo credo dipenda dall’antica legge della domanda e dell’offerta. Le case editrici decidono cosa vale la pena pubblicare, qual è il prodotto che può avere mercato e quale no (Moccia e Dan Brown purtroppo sono il risultato di questo sistema…)
Per quanto riguarda la qualità non credo di poter dare un giudizio. Non mi sento così esperta. Alcune letture mi piacciono, altre meno, altre per niente però non ho la presunzione di considerare quelle che mi piacciono di qualità e quelle che non mi piacciono di poco valore. Non sono un’esperta del settore, sono solo una lettrice che da un po’ di tempo si diverte a scrivere recensioni per questo blog e che quando lo fa esprime tranquillamente il suo pensiero, positivo o negativo che sia. Nelle recensioni che scrivo tendo sempre a precisare che il giudizio che do è SOLO la mia impressione, proprio perché non mi piace influenzare le scelte altrui.
Mi ritrovo perfettamente nella parte finale di Mari. Anche se il sottoscritto i cento libri di Lilli se li sbologna in un paio di mesi la mia è sempre comunque una "opinione opinabile (opinabilissima)" come ho evidenziato nell'articolo. Mi piacerebbe conoscere altri pareri, se qualcuno ne ha voglia. Grazie per chi ha già espresso i propri.
Fabio Lotti
Credo che il parere di un lettore sia ancora il metro di giudizio più valido. Soprattutto visto che sulla critica "ufficiale" aleggiano forti sospetti di favoritismi varii :)
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