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mercoledì 28 settembre 2011

L' Affaire Simenon - Maurizio Testa PT.2


Il metodo Maigret… e quello Simenon

Abbiamo prima accennato che il commissario, quando viene chiamato per un caso, quasi mai parte di gran carriera. Lo vediamo aggirarsi per i luoghi del delitto o del reato. Se è un palazzo con portineria, spesso fa comunella con la portiera, non di rado stimolato da un odore, va in cucina a vedere cosa cuoce sui fornelli, ma così facendo entra in confidenza con la donna che prima o poi si rivelerà utile. Poi osserva, ascolta, a volte, come dice lui stesso, s’installa in un milieu e sta lì sembra a far niente. E invece s’impregna dell’ambiente, della mentalità e delle abitudini delle persone, cerca di entrare nel modo di ragionare e di vivere di quella gente e di entrare nell’atmosfera.
Quando tutto questo matura, allora inzia gli interrogatori, ordina gli appostamenti ai suoi ispettori, chiede ricerche sui sospettati, insomma mette in moto la macchina investigativa che non è quasi mai chiassosa e plateale. Maigret preferisce tenere un basso profilo, impiegare pochi uomini, non fare troppo rumore. Se ci sarà bisogno, verrà il momento giusto per farlo.
La fase diciamo così preliminare dell’inchiesta mette Maigret in uno stato particolare. Come ha detto Simenon, il commissario è un intuitivo e ha bisogno di seguire i suoi percorsi mentali, gli serve a volte non pensare a niente. Fare vuoto affinché ci sia spazio per l’intuizione. I suoi ispettori conoscono bene questa fase e, dandosi di gomito, dicono “Ecco il capo è en trance , ci siamo…”.
Questa fase di trance somiglia tanto a quella simenoniana dell’état de roman.
Facciamo un passo indietro. Quando nel dicembre del ’22 un non ancora ventenne Simenon scese a Parigi alla Gare du Nord, il giovane aspirante scrittore aveva già in mente bella e pianificata quella che sarebbe stata la sua avventura nel mondo della letteratura. In un primo momento avrebbe dovuto imparare i meccanismi della narrazione, lo stile, il funzionamento del mondo editoriale, era la fase dell’apprendistato e della letteratura-alimentare, come la definiva lui stesso, perché davvero era quella che gli permetteva di sopravvivere. Dopo nemmeno un decina d’anni ecco che si prepara ad alzare il livello. Non più letteratura popolare, scritta su ordinazione, ma una semi-letteratura (o letteratura semi alimentare, entrambe ancora definizioni di Simenon) dove la creazione era suo esclusivo appannaggio ed era lui a proporre all’editore cosa pubblicare e non viceversa.
Finita la prima serie delle inchieste di Maigret (diciannove titoli, come recitava il contratto con Fayard), Simenon si sente pronto al grande salto quello che lo porterà a quella che lui stesso chiamava i romans-durs, o i romans-romans, insomma la letteratura tout court, quella per cui potrà ritenersi davvero un romanziere, tanto da far cambiare la dicitura sulla sua carta d’indentità alla voce professione.
E, in questa fase, la genesi dei romanzi simenoniani è caratterizzata da qualcosa che faceva scattare in lui uno stato particolare che lui chiamava l’ètat de roman. Una fase analoga a quella che faceva passare al suo commissario prima dell’indagine. L’importanza di questo ètat de roman sta nel fatto, almeno così la spiegava Simenon, che in quella condizione riusciva a entrare nella pelle degli altri, e quasi automaticamente iniziava a pensare come loro. Questi altri erano i personaggi dei suoi romanzi i quali gli prendevano letteralmente la mano e lo portavano in breve alla conclusione della vicenda. E questo spiegherebbe due caratteristiche. La pretesa di Simenon di non sapere come il romanzo sarebbe andato a finire quando all’inizio si sedeva alla macchina per scriverev. L’altro fatto è costituito dalla celerità con la quale scriveva un romanzo di 150/200 pagine. Una settimana ed era pronto.
E la spiegazione che dava l’autore rigurdava proprio l’ètat de romance che appunto durava sette/otto giorni e lui doveva sbrigarsi a finire, altrimenti non avrebbe saputo come fare. E a riprova raccontava come una volta aveva dovuto interrompere la stesura di un romanzo per una malattia abbastanza grave. Ebbene, dopo quindici giorni si ritrovò davanti qualcosa che non riconosceva, che non sapeva portare avanti e che dovette abbandonare..


Il lancio dei Maigret

Nelle discussioni tra Simenon e Fayard che precedettero l'uscita delle inchieste di Maigret, uno degli argomenti di contrasto fu cosa fare per lanciare la serie. Simenon a questo proposito aveva le idee ben chiare. Nessuna conferenza stampa per gli addetti ai lavori, nessuna presentazione ordinaria... non voleva che un personaggio, e quella nuova fase della sua vita letteraria, esordissero con una colonnina di recensione nella pagina culturale dei quotidiani, letta da pochi e ignorata da molti e che già il giorno dopo veniva coperta da altre notizie. No, lui voleva realizzare qualcosa di cui si occupasse anche anche la stampa mondana e di cui se ne parlasse per almeno per una settimana.
Per raggiungere questo obiettivo, pensò di organizzare una grande festa.

Si trattò del Bal Anthropométrique (letteralmente antropometrico, come le misure del corpo che la polizia prende prima di incarcerare qualcuno), un rendez-vous in uno dei più eccentrici locali di Montparnasse, il dancing la Boule Blanche, solitamente frequentata dagli antillesi di Parigi e dove solitamente si ballava la beguine. Lì avrebbe invitato il meglio e il peggio della società cittadina per la serata "più carceraria" di Parigi.
Ovviamente Fayard non era affatto d'accordo, anche e soprattutto per le spese, visto che Simenon gli aveva detto di aver già contattato per l'allestimento e la creatività della serata artisti come Paul Colin, Marcel Vertés e Don. Tre nomi che da soli già facevano pensare all'editore al fiume di soldi che sarebbe potuto scorrere.
Ma Simenon era irremovibile. Non aveva nessuna intenzione di sprecare quell'occasione. E infatti alla fine, pur di spuntarla, acconsentì di pagare una buona metà delle spese della serata.
E così spedì un gran numero d'inviti per il 20 marzo 1931, inviti che altro non erano che dei "mandati di comparizione".
Davanti all'entrata de la Boule Blanche, al 33 di rue Vanvin, quella sera dalle dieci in poi ci fu una gran fila all'ingresso. All'esterno c'erano dei figuranti per rendere tutto ancor più stravagante: una finta prostituta e il suo protettore e dei poliziotti che prendevano le impronte digitali prima di far entrare gli invitati. Non tutti stettero al gioco, alcuni protestarono, non volendo farsi trattare da delinquenti, come una vecchia conoscenza di Simenon, l'editore di Paris Soir, Eugene Merle, che aveva subito analoghi trattamenti durante la sua gioventù da estremista di sinistra. Circa trecento persone si accalcarono nella sala decorata dagli artisti con uno stile definito molto... “Quai des Orfèvres”, manette, corpi sanguinanti, ma anche grandi punti interrogativi... Non solo una gran folla quindi con molti rappresentanti della Parigi che conta, ma anche artisti, scrittori, gente qualsiasi e forse anche dei poliziotti in incognito.
Si poteva incontrare Philippe de Rothschild, ma anche la cantante Suzie Solidor, la scrittrice Colette e pittori come Derain, il critico d'arte Florent Fels e Raymonde Machard, femminista e redattrice-capo de Le Journal de Femmes. L'orchestra antillese faceva scatenare gli invitati e un'aria di follia sembra impadronirsi della festa. Alle quattro la sala era ancora piena e la baldoria la suo culmine, spogliarelli, più o meno integrali, docce allo champagne, promiscuità, divertimento e trasgressione. Era quello che voleva Simenon affinchè la stampa ne parlasse a lungo. Lui nel frattempo non aveva smesso un attimo di scrivere dediche, su nella galleria, per i primi due Maigret lì presentati, Monsieur Gallet décédé e Le Pendu de Saint Pholien. E ne fece talmente tante che non smetteva mai di scrivere. Qualcuno lo prendeva in giro dicendo che stesse già scrivendo il prossimo Maigret.
Verso le sette di mattina la festa andò morendo, ma lasciò un'eco proprio come voleva il suo ideatore. Oltre ad una buona critica per quello che riguardava i romanzi, l'evento tenne banco sui giornali parigini come l'avvenimento mondano più divertente e trasgressivo, come da molto tempo non se ne organizzavano più.
Lanciati i Maigret, lanciato anche Simenon, per la prima volta con il suo vero nome, quella sera diverrà una data storica nella sua vita non solo letteraria.

Maurizio Testa:
Giornalista e scrittore, Maurizio Testa (Roma 27 settembre 1954) è stato il direttore responsabile de Il Falcone Maltese, il primo magazine consacrato al noir & al mystery. Durante i suoi trent’anni di carriera giornalistica, ha lavorato nella carta stampata, è stato autore di testi per la radio, ha diretto diversi magazine e periodici specializzati ed è stato direttore editoriale del web-network d’informazione Axnet oltre che direttore del quotidiano on-line News Ore 13. Ideatore e direttore per il Comune di Roma della mostra Giallo Estate per sei edizioni (1997/2002) nell’ambito dell’Estate Romana.

Articolo di Maurizio Testa

I libri di Testa su Simenon:
  • Maigret e il caso Simenon
  • Maigret et l'affaire Simenon
  • Maigret und der fall Simenon
  • L'uomo che voleva essere Maigret
  • Adieu Simenon
  • Omaggio a Simenon
  • Maigret & Simenon in "Poker d'assi"
  • Chez Maigret

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