Noi li chiamiamo i dormienti
L’ufficio delle persone scomparse nella sede del dipartimento di polizia federale, detto il Limbo, si occupa invece di chi di punto in bianco è scomparso dalla faccia della terra, né un indizio, né un messaggio, niente più niente, come volatilizzati. E le loro foto sono tutte qui, nella sala dei passi perduti, una stanza senza finestre e senza arredamenti ma piena di volti che chiedono di poter essere visti di nuovo e occhi che chiedono di poter guardare ancora alla vita. Dormienti e scomparsi che vi terranno sulle spine, vi faranno stare con il fiato sospeso e vi toglieranno il sonno. Ed è nel Limbo che ritroviamo Mila Vasquez. Devo ammettere che già leggere solo il nome in un “ruolo cameo” (in gergo cinematografico) ne Il tribunale delle anime, mi aveva fatto scorrere un brivido sulla schiena, ritrovarla qui, protagonista principale, è stata un emozione. Mila è un personaggio complesso, difficile da comprendere, è una donna che ha un vissuto alle spalle che la metà basterebbe per stendere chiunque, ma lei è caparbia e va avanti, una donna spezzata e segnata che ha visto e vissuto l’orrore e che è dal buio che viene ed è al buio che ogni tanto deve tornare. Mila si butta nei casi a capofitto ma in questo la paura l’assale, persone scomparse anni prima che tornano ed uccidono a sangue freddo, un vero e proprio esercito delle ombre che semina morte. Cosa o chi c’è dietro a tutto questo, chi muove le fila, chi è il Mangiafuoco? Questo la spaventa perché nella vita di Suggeritore ne basta uno e quando rischi la tua vita gli incubi non passano mai. È come se andassi al cinema per vedere un film dell’orrore e il mostro attraversasse lo schermo: la paura per cui hai pagato il biglietto diventa un’altra cosa, e non sai come chiamarla. È panico, ma anche qualcosa di più. È l’idea stessa di non avere scampo, l’irrimediabile e improvvisa consapevolezza che non esiste distanza che possa metterti al sicuro. E che la morte conosce il tuo nome.
Non vorrei che questa recensione sembrasse una dichiarazione d’amore a Donato Carrisi, ma è difficile non rimanerne conquistati e non innamorarsi di lui. Direi quasi impossibile. È senza dubbio l’unico che dopo poche righe mi inchioda alla pagine, con tutti i suoi libri è stato così, anche con La donna dei fiori di carta che è completamente diverso dai suoi lavori. E questa si chiama grandezza! Ha una marcia in più, sa perfettamente di cosa scrive essendo specializzato in criminologia e scienza del comportamento e lo fa maledettamente bene. La violenza di uno spree killer è ciclica. Ogni ciclo dura all’incirca dodici ore e si divide in tre stadi: quiete, incubazione ed esplosione. Il primo si verifica dopo l’assalto iniziale. C’è un momentaneo senso di appagamento a cui segue, però, una nuova fase di cova: l’odio si mescola alla rabbia. I due sentimenti si comportano come elementi chimici. Isolati non sono necessariamente nocivi, ma se si combinano danno origine a una miscela altamente instabile. Il terzo stadio a quel punto è inevitabile. La morte è l’unica conclusione possibile del processo. L’ipotesi del male è un ulteriore conferma di quanto una mente geniale (e malata!) possa spingersi sempre un po’ più in la con la consapevolezza di essere seguito, perché Carrisi ha uno stile essenziale, capitoli brevi, senza fronzoli, nessuna parola di troppo, la trama è perfetta senza sbavature, tutto torna, ogni filo va a tesserla ed ha la sua perfetta collocazione e i personaggi partono dal centro della storia ognuno la sua vita la sua storia che diventa nostra, come una coreografia di girasoli a caccia di un raggio di luce.
Cristina Di Bonaventura
Dettaglio del libro
- Titolo: L' ipotesi del male
- Autore: Donato Carrisi
- Editore: Longanesi
- Collana: La Gaja scienza
- Data di Pubblicazione: Aprile 2013
- ISBN: 883042823X
- ISBN-13: 9788830428232
- Pagine: 432
- Reparto: Narrativa > Thriller
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