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martedì 31 gennaio 2012

Il silenzio dell'onda – Gianrico Carofiglio (Rizzoli 2011)


Càpita. A volte càpita di entrare in libreria e posare l'occhio su un titolo o una copertina che cattura la tua attenzione, a prescindere dall'autore che è bravo e chè già conosci, è proprio quel titolo che ti colpisce. Poi però si rimanda l'acquisto perchè sono già tanti i libri in lista d'attesa da leggere. Ma quel titolo ti gira in testa, il libro lo vedi continuamente e alla fine lo compri, vai alla cassa con quel luccichio di soddisfazione negli occhi, come un bimbo che ha appena comprato il più bello dei giocattoli. E inizi a leggerlo. 50, 100, 150 pagine e ti rendi conto di non riuscire a fermarti, l'eleganza dello stile, la scrittura scorrevole, il ritmo teso e drammatico ti impediscono di chiudere quel libro, e vai avanti inesorabilmente con le parole che ti entrano dentro e ci rimangono, un occhio alle pagine e uno a quella maledetta sveglia che di li a poche ore suonerà. Lo chiudi ma la mattina quelle parole sono ancora li e ti chiamano come le sirene di Ulisse. Riprendi in mano il romanzo, quella storia così emozionante e coinvolgente, quei personaggi vivi e vividi, importanti, e riprendi la lettura, avidamente, fino a poche pagine dalla fine, quando rallenti, vai avanti piano piano, fai delle pause, non vuoi più finirlo, vuoi trattenere quell'emozione ancora per un pò. E poi finisce, lo chiudi e pensi che a volte capita di vivere un'esperienza del genere. Capita, e stavolta è capitato a me. Fate in modo che capiti anche a voi, Il silenzio dell'onda è un libro da non perdere.

Le settimane di Roberto sono scandite dagli appuntamenti dallo psichiatra, il lunedi e il giovedi pomeriggio. Le giornate invece sono scandite da quelle lunghe passeggiate che gli servono come l'aria, per rilassarsi e per distrarsi, per fare andare via i pensieri …... Ma come si fa a lasciarli andare via i pensieri? Quando quelli sono piantati nella tua testa come chiodi che più cerchi di tirarli fuori e più ti lacerano l'anima? Quando camminava e si concentrava su un passo dopo l'altro, gli pareva che quei grumi adesivi di sofferenza diventassero meno tenaci e per qualche momento addirittura si sciogliessero e la testa diventasse deliziosamente libera. Succedeva quello che diceva il dottore e i pensieri, quelle entità concrete fatte di ricordi, recriminazioni e sogni sbriciolati, scivolavano via, anche se solo per poco. Bastava, per capire che era possibile. Ma prima non era così. Roberto era un agente sotto copertura, alle spalle una vita come infiltrato tra i comuni delinquenti prima e tra i narcotrafficanti colombiani poi, i continui viaggi in sudamerica tanto da sentirsi più a casa sua a Bogotà o Candelaria che a Roma, la città in cui vive ma che non ha mai vissuto, osservato. Nelle due ore settimanali dallo psichiatra, Roberto torna indietro nel tempo fino a rivivere le violenze a cui ha dovuto assistere senza muovere un dito per non compromettere la riuscita dell'operazione, una vita fatta di menzogne, a incamerare rabbia e dolore, una vita che lo ha distrutto fino a che qualcosa si è incrinato nella sua mente, è crollato sotto il peso delle proprie responsabilità e il peso di dover sopportare e vivere due vite completamente diverse e non riuscire più a capire chi fosse e perchè, e in un attimo si è trasformato da agente coraggioso e impavido a un uomo solo, in congedo per malattie mentali, sconfitto e impaurito. La richiesta di aiuto dell'adolescente Giacomo, figlio di Emma conosciuta per caso fuori dallo studio, gli farà capire che quel Roberto forse non tornerà mai più ma almeno quel che resta di lui non è perduto per sempre, una speranza di rinascita, perchè un conto è aspettare l'onda, un conto è alzarsi sulla tavola quando arriva.


Articolo di Cristina "cristing" Di Bonaventura

Dettagli del libro

  • Formato: Rilegato
  • Editore: Rizzoli
  • Anno di pubblicazione 2011
  • Collana: Scala italiani
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 300
  • Codice EAN: 9788817052085
  • Prezzo di copertina: € 19,00

domenica 29 gennaio 2012

Gioco segreto - Gaetano Amato (TestePiene 2011)


Di Gaetano Amato ho letto tre libri; mi risulta ne abbia scritti quattro, quindi sono al 75% dello studio della sua produzione letteraria. Il primo è stato un giallo “Il testimone”, un giallo atipico, molto partenopeo, il secondo libro “Il Paradiso può attendere a volte”. Dal registro del giallo si passa a tre racconti, favoleggiando con ironia, un filo di disincanto e di umorismo nero.
Dopo il primo temevo con il secondo di rimanere deluso. Sono stato fortunato, non è andata così. D’altra parte i toni erano così diversi che i due libri erano inconfrontabili. Però sapevo che il terzo libro “Gioco segreto”, era, è, un romanzo giallo. Ho pensato: “... e adesso, cosa mi aspetta?”
Sapevo che il protagonista di questo, Terenzio, era un personaggio diverso, un nome diverso, una vita, un vissuto opposti rispetto a Gennaro, il protagonista de’ “Il testimone”. Però, in un mondo letterario di stereotipi e personaggi fabbricati con lo stampino, poteva Gaetano Amato riuscire a differenziarsi? Oddio, magari rimanere sulla falsariga del primo sarebbe stata una garanzia di continuità, un personaggio, uno stile, un modus narrativo non si consumano con due romanzi. Insomma, non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo cosa augurarmi.
Ci ha pensato Gaetano. Adesso io voglio che qualcuno, chiunque, mi sappia fare l’esempio di uno scrittore italiano che riesce a scrivere tre libri diversi tra loro, di cui due per di più dello stesso “genere” (e chi mi conosce sa che aborro ed odio la divisione in “generi” della narrativa). Perchè Gaetano ci è riuscito, e ci è riuscito pure bene, mannaggia a lui.
Dimenticatevi “Il testimone”, dimenticatevi “Il Paradiso...”, fate conto che sulla copertina ci siano tre nomi di autori diversi e non avrete sbagliato e forse sarà il modo migliore di farsi poche pippe mentali e iniziare a leggere uno qualsiasi di questi tre libri senza stare a smenarvi su come sarà, se sarà uguale, diverso, migliore, peggiore degli altri.
Se non conoscessi Gaetano penserei che ha un gost writer; ma lo conosco e so che non ce l’ha. Allora inizio a pensare che Gaetano Amato soffra, anzi, GODA di personalità scrittorie multiple, a seconda di quella che lo possiede in quel momento tira fuori quello che gli viene.
Questo “Gioco segreto” (edito da TestePiene) è un gioiellino, un incastro adorabile di enigmistica, un’alchimia di citazioni e rimandi, un gioco di pazienza e di scatole cinesi. E’ un giallo classico, e con classico non voglio rendermi complice di una di quelle categorizzazioni che odio, ma voglio indicare che omicidi, prove, indizi, tracce, investigatori ed investigazioni sono descritte proprio come si faceva una volta, nei gialli di tanto tempo fa, quelli che non passano mai di moda, perchè una Agata Christie, un Rex Stout o un Ellery Queen (ahò, io so’ vecchio, con quelli so’ cresciuto!) avevano i morti ammazzati, magari pure tanti – pensate ai “Dieci piccoli indiani” della vecchia nonna Agata – ma non avevano bisogno di descriverti la forma ed il colore delle loro budella per affascinarti, per tenerti incollato alle pagine.
E poi Gaetano è pure un gran paraculo, se l’ha fatto apposta, oppure è un genio se le cose gli sono venute così da sole. Perchè se nessuno riconoscerà Jules Maigret in Terenzio Lazzarelli, con annessa signora MaigretLazzarelli, se nessuno riconoscerà Torrence e Lucas, anzi, facciamo il “giovane Lapointe” in Franceschi e Milone, allora lo rimando a settembre e che venga preparato sulle storie del commissario Maigret. E senti a me, Gaeta’, solo per averti scritto che i tuoi personaggi richiamano quelli di Simenon ‘sta recensione dovresti incorniciarla.
Ma visto che mi si accusa di buonismo, una critica a Gaetano gliela muovo, ma è una cosa mia, un gusto personalissimo. Io ci voglio più Napoli nelle tue storie, Gaetano. In "Gioco segreto" Napoli non c’è, non la sento, non la vedo e non la respiro; potrebbe essere ambientata ovunque; ci sono i nomi delle vie, delle località, ma rimangono freddi, manca il chiasso ed il colore d’ambiente.
E’ un bel romanzo, questo “Gioco segreto”, merita, lo suggerisco. Per essere un piccolo capolavoro avrei voluto trovarci Napoli ed i napoletani. Ma ripeto, ognuno è masochista a modo suo, ed uno che ama Napoli, come me, masochista lo è di sicuro.


Articolo di Marco Proietti Mancini

Dettagli del libro
  • Formato: Brossura
  • Editore: Testepiene
  • Anno di pubblicazione 2011
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 230
  • Codice EAN: 9788896774069
  • Prezzo di copertina: € 14,90

sabato 28 gennaio 2012

Cerco me stesso - Patrick Quentin (Giallo Mondadori 2011)


Cerco me stesso. Ma chi sono?...

A volte la quarta di copertina fa proprio comodo, perché rappresenta un valido stimolo alla lettura del libro. E il recensore pigrone ne approfitta “Metti di salire un giorno in macchina, di dare un passaggio a un autostoppista e…basta. Metti poi di riaprire gli occhi e di ritrovarti in un letto che non è il tuo. Vedi un braccio ingessato, una gamba: sì, sono la tua gamba e il tuo braccio. Dunque hai avuto un incidente? E metti che al tuo capezzale ci sia una donna che continua a ripeterti :”Sono tua madre, Gordy, non mi riconosci?”. E poi ecco tua sorella, e tua moglie. Ma tu, proprio non le riconosci…”.
Una situazione davvero angosciosa che costringe il lettore ad andare sino in fondo come spinto da una curiosità invincibile. Intanto diciamo che il protagonista, lo sfortunato Peter Duluth (che diventerà Gordy Friend), ha lasciato la moglie all’aeroporto, ha fatto salire sulla sua macchina un anonimo autostoppista e si è ritrovato, senza memoria (eccetto qualche breve lampo) in una casa non sua. Poi diamo un nome ad alcuni personaggi principali di questo bel libro: Marta Friend la supposta madre, ricca vedova; Marny la sorella che cerca di aiutarlo e Selena la bella e affascinante mogliettina.
Il problema sta tutto nel disorientamento di Peter in balia degli altri e costretto a muoversi su una carrozzella (ci ricorda, in parte, un indimenticabile film con James Stewart), un percorso difficile della sua mente, gli assilli, gli incubi, i dubbi, le incertezze, l’affiorare a poco a poco della memoria e della verità. Alcuni fatti, raccontati dai “familiari”, che lo lasciano stupito: il marito morto e subito via tutta la servitù e lui Gordy, il figlio sbevazzone, partito improvvisamente. Perché?
Un carico di notevole suspense graduata con alti e bassi e intrisa di una certa aria sensuale con la bella moglie che lascia dietro di sé una scia di fascino e oscuro mistero. Bionda, capelli lunghi, pelle dorata “Si muoveva con una grazia squisita, liquida, morbida, come il fluire del latte fresco”.
C’è pure di mezzo un testamento particolare e una lega del Vivere Virtuoso (obiettivo purificare l’America) con a capo un certo Muffat, alla quale si era unito il marito defunto, che è parte importante del testamento stesso. E poi questo benedetto marito che soffriva di cuore se ne sarà dipartito in modo naturale o sarà stato in qualche modo forzato contro la sua volontà? Perché, insomma, arriva pure un ispettore di polizia…

Alla fine del dramma psicologico il sentirsi circondato da un pericolo incombente, la paura per la propria vita, il mettere insieme tutte le forze psicofisiche e tutta la sua astuzia per salvarsi in una condizione di estrema difficoltà. E noi lettori tesi e pronti a fare il tifo per lui. Ce la farà a restare vivo e a riabbracciare la vera moglie?

Per “I segreti del giallo” ecco “Tanz in fiamme” di Massimo Pietroselli, praticamente l’analisi del film “La notte dei generali” con il grande Peter O’Toole, un “nocciolo giallo” all’interno di una storia reale svoltasi durante i giorni dell’attentato a Hitler. E tale nocciolo è costituito da un libro di James Hadley Chase del nostro inossidabile Giallo Mondadori.

Articolo di Fabio Lotti

venerdì 27 gennaio 2012

Gli anagrammi di Varsavia - Richard Zimler (Piemme 2012)


Ho camminato tra i sentieri di una delle pagine più tristi e drammatiche della storia dell’umanità, la persecuzione ebrea da parte del popolo nazista, grazie all’indiscusso capolavoro di Richard Zimler “Gli anagrammi di Varsavia”, Piemme editore.
Forse tutti i morti devono tornare a casa prima di andarsene per sempre” o, per lo meno, dovrebbero per lasciare ai posteri la testimonianza di quanto l’animo umano possa giungere a commettere atti di violenza inimmaginabili. Siamo nel settembre del 1940, molte zone di Varsavia sono già state rese inaccessibili agli ebrei ed Erik Cohen, psichiatra ebreo, decide di trasferirsi nel vecchio quartiere ebraico dove vive sua nipote Stefa con il figlio Adam. Sabato 12 ottobre i nazisti limitano ulteriormente la vita della popolazione ebraica ordinando loro di ritirarsi nel ghetto fino a quando il 16 novembre furono, letteralmente, rinchiusi nel loro quadrilatero di esistenze attraverso la realizzazione di un muro che li isolò dal resto della città. In un clima in cui il terrore e il genocidio diventano protagonisti assoluti della Storia, credo, che la paura più grande sia quella di non lasciare traccia della propria esistenza ed Erik abbandona il suo proposito di rileggere le opere di Freud e scrivere un lavoro su alcuni casi clinici, che lo avrebbe condotto al successo europeo, per guidare Adam sulla strada della sopravvivenza.
Disteso a letto con mio nipote cercavo di rimanere sveglio…restando vigile volevo innescare un processo più elaborato. Per lui e anche per me. Così morire sarebbe stato molto più difficile per entrambi”. Il sogno di Erik si dissolve come neve che cade sul bagnato quando in una gelida mattina del 17 febbraio 1941 Adam esce di casa per non farvi più ritorno. Il suo corpo sarà ritrovato all’alba della mattina seguente su quel filo spinato che recinta le angosce speranzose di un popolo relegato e trucidato. Il momento del riconoscimento del corpicino di Adam da parte di Erik è un bagno di dolore. Adam ha la testa chinata verso sinistra. Non c’è morte per i sentimenti.
Non c’è sconfitta per il cuore. Erik è invaso dal senso di colpa per aver lasciato uscire Adam la sera in cui è scomparso ed il senso di colpa è, per Erik, un travaglio interiore acuito ancora di più dal suicidio di Stefa “morta di sete per un’infinità di ragioni”. Erik ci insegna che il dolore, se incanalato nella giusta direzione, può essere catartico poiché egli stesso riesce ad emergere da quella sensazione di colpa ed infrangere le accuse della sua coscienza per riscattare e vendicare l’atto più drammatico che la mente umana possa concepire: la morte di un bambino.
Un particolare sconvolgente induce Erik a ricercare le ragioni profonde della morte di Adam e proprio quel particolare si rivelerà denominatore comune con la morte di un’altra creatura, segnata dallo stesso destino, Anna 15 anni e figlia di un sarto ebreo. Le indagini condurranno Erik nei vicoli sotterranei che regolano il traffico clandestino e che collegano il ghetto ebraico al resto del mondo. Attraverso l’analisi di chi è abituato a scandagliare i percorsi della psiche umana, Erik riesce a giungere alle ragioni e all’artefice di questa triste carneficina per scoprire che le pulsioni di vita e di morte sono facce della stessa medaglia e che ognuno di noi, in alcune circostanze può essere il riflesso di un’immagine fangosa. La straordinarietà di Zimler sta, dunque, nell’amalgamare un’infinità di sentimenti spesso divergenti tra loro, in un clima di angosce, contrasti e paure che soccombono alla stessa natura umana.
L’immagine di Stefa che culla il corpo morto di Adam rievoca sentimenti di amore, protezione, calore ed allo stesso tempo di dolore e drammaticità che si manifestano nell’atto stesso del dondolare. Dondola chi culla, dondola chi esorcizza il dolore della morte. Ma l’intento dello scrittore, attraverso un thriller che esula un po’ dalle righe della narrativa di genere, è quello di guidarci, attraverso, una narrazione nitida e malinconica dei fatti e una descrizione introspettiva dei personaggi, verso riflessioni profonde che investono temi di natura etico-storico-sociale.
Tramandare ai posteri che al di sotto dei territori polacchi sono sepolti i corpi, le polveri ma soprattutto le voci di tutte le vittime che i nazisti hanno ucciso durante l’Olocausto, nell’intento di distruggere il futuro degli ebrei, è l’unico modo che ci resta per rendere giustizia e “sentirci partecipi di una cultura che i nazisti non hanno potuto uccidere”.

Articolo di Marco "Killer Mantovano" Piva

Dettagli del libro

  • Formato: Brossura
  • Editore: Piemme
  • Anno di pubblicazione 2012
  • Collana: Piemme linea rossa
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 405
  • Traduttore: M. Crepax
  • Codice EAN: 9788856614909

giovedì 26 gennaio 2012

In difesa di Jacob – William Landay (TimeCrime 2012)


Non importa quanto siano deboli i tuoi argomenti. Attieniti al sistema. Sta alle regole del gioco come negli ultimi cinquecento e passa anni, usa la stessa, infima tattica che ha sempre contraddistinto i controinterrogatori: blandisci, incastra, fotti.

Andy, Laurie e Jacob sono una famiglia felice, una famiglia qualunque, con le proprie abitudini e gli alti e bassi di chi da anni condivide il solito tran tran. Andy Barber è il primo vice procuratore distrettuale nella contea di Middlesex, è rispettato, bravo, preparato, il migliore, Laurie ex insegnante ora casalinga e mamma a tempo pieno e Jacob è il figlio adolescente che amano incondizionatamente. La mattina di un maledetto giovedi 12 Aprile 2007 viene ritrovato il corpo senza vita di Ben Rifkin, compagno di scuola di Jacob, accoltellato nel bosco che la maggior parte dei ragazzi attraversa per raggiungere la scuola. Un fatto di sangue inaudito in un piccolo centro come Newton. L'opinione pubblica è profondamente scossa, un terremoto ha fatto crollare irrimediabilmente le fondamenta della vita tranquilla e serena del piccolo centro di Newton, ma un terremoto ancora più devastante scardinerà le certezze della famiglia Barber. Jacob, l'adorato Jacob, viene accusato dell'omicidio di Ben.
Come reagireste se vostro figlio fosse accusato di un crimine così efferato? Lottereste come leoni per difenderlo? Accettereste l'idea, la probabilità, che possa essere colpevole? Continuereste ad amarlo comunque e qualunque sia il verdetto della giuria? Quali ripercussioni avrebbe un'accusa così pesante nell'ambito di una rispettabile famiglia? Ci si unirebbe per combattere o si inzierebbe a puntare il dito uno contro l'altro, scagliandosi addosso colpe, chiedendosi “dove e cosa abbiamo sbagliato”?
L'impianto narrativo di questo bel romanzo di William Landay, marchio timeCRIME, è notevole, la trama è notevole, i personaggi sono notevoli. Landay scandaglia il rapporto genitori figli, seziona i rapporti famigliari, fa vivere sulla propria pelle la tensione che può nascere quando un fatto imprevedibile arriva a sconvolgere le vite di persone oneste e normali. Ma questo è l'effetto; la causa, l'omicidio, il processo sono affrontati con grande maestrìa, non dimentichiamoci che Landay si è laureato in giurisprudenza a Yale ed è stato a lungo procuratore distrettuale e il modo in cui descrive l'istruttoria del processo, le tattiche dell'accusa e delle difesa, le strategie negli interrogatori dimostrano che Landay sa di che cosa scrive e lo fa in modo preciso e coinvolgente.
Per come vengono presentati i fatti, la minuziosità con cui vengono descritti i particolari, a volte mi ha fatto avere il dubbio che si trattasse di un fatto vero e che Andy, il protagonista, raccontandocelo in prima persona, cercasse di spiegare gli eventi, intervallandoli da stralci di interrogatorio a cui è sottoposto davanti al gran giurì, quasi a chiedere all'interlocutore una conferma di essere nel giusto. Ora, vi starete chiedendo, va bene il coinvolgimento, il ritmo serrato, i personaggi, la tensione che rimane alta per tutta la lettura, ma alla fine si tratta solo di stabilire se Jacob è innocente o colpevole? No signori, un finale mozzafiato e inaspettato, come un terremoto scardinerà anche le VOSTRE più assolute certezze.

Il leopardo che si spinge fino al margine del suo recinto allo zoo ti guarda con disprezzo attraverso le sbarre o al di là di un fossato invalicabile per la tua inferiorità e perchè hai bisogno di quella barriera tra di voi. In quel momento, vi comprendete a vicenda, in modo non verbale ma non meno reale: il leopardo è il predatore e la preda, ed è solo quella barriera a permettere agli umani di sentirsi superiori e al sicuro. La sensazione che si prova davanti alla gabbia del leopardo è accompagnata da una punta di vergogna, per la forza superiore dell'animale, per la sua altezzosità e per la sua scarsa stima nei nostri confronti.

Articolo di Cristina "cristing" Di Bonaventura

Dettagli del libro

  • Formato: Rilegato
  • Editore: Time Crime
  • Anno di pubblicazione 2012
  • Collana: Narrativa
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 540
  • Traduttore: S. Brambilla
  • Codice EAN: 9788866880103

mercoledì 25 gennaio 2012

I piani d’Isidi. La linea guida - Paolo Quaini (Sometti 2011)


Paolo Quaini è un giovane scrittore esordiente mantovano. Lo conobbi circa tre anni fa durante un’edizione del nebbiagialla di Suzzara (MN). Ricordo simpaticamente un ragazzo gentile, timido, a tratti impacciato, che si avvicinò a me quasi impaurito, descrivendo il suo progetto in corso di scrivere un romanzo giallo ambientato a Mantova.
Ho avuto occasione di rivederlo altre volte in questi ultimi anni, durante le presentazioni e i meeting corpi freddi, e il suo sogno rimaneva sempre vivo e immutato.
Oggi, a pochi giorni dalla pubblicazione per Sometti della sua opera, mi sento in dovere pubblicamente di fargli i complimenti; per il coraggio, la determinazione, la testardaggine e la caparbietà con le quali ha saputo gestire questo ambizioso lavoro (ricordo che “I piani d’Isidi” è la prima parte di una probabile trilogia), non cedendo alle facili lusinghe dell’editoria a pagamento o facendosi annientare dalla temibile macina del mercato editoriale.
La cura personale del packaging, l’idea della cover, la creazione di una storia articolata, il lavoro di ricerca e documentazione sulla città virgiliana, l’auto editing, i rapporti con gli addetti ai lavori, nonché la distribuzione diretta sul campo ci danno un’idea del carattere risoluto di questo ventiseienne.
Ma alla fine dei conti come si rivela qualitativamente questo “I piani d’Isidi”? Sicuramente un buon punto di partenza, un giallo piacevole capace di catturare l’attenzione e fare il suo mestiere di romanzo d’evasione.
La storia è ambientata nella Mantova dei giorni nostri e, credetemi, fa un certo effetto dare una immagine concreta alle azioni narrate, soprattutto nella consapevolezza che la descrizione dei dettagli è attenta e accurata, creando di conseguenza una maggiore sensazione di credibilità.
La vicenda parte con il rapimento di un eminente scienziato americano, noto nel campo della genetica e, più specificatamente, per avere ricreato l’80% del DNA di un mammut. Ma la folle idea all’origine del sequestro da parte di questa pericolosa organizzazione criminale è ben più ambiziosa: ricreare niente meno che il codice genetico di Gesù Cristo. E proprio a Mantova sono conservati, all’interno dell’altare situato nella cripta della famosa Basilica di S. Andrea, i sacri vasi dove si ritiene sia contenuto il preziosissimo sangue di Cristo, portato a Mantova, secondo la tradizione, dal Centurione Longino.
Da questo episodio si innescherà una serie di omicidi e rapimenti che vedrà coinvolti nelle indagini un capitano dei carabinieri e la sua ex moglie, esperta dei RIS di Parma, investigazione che risulterà subito complicata a causa dei burrascosi rapporti del duo di protagonisti.
E’ stato divertente approcciarmi al romanzo di Paolo che, al di là di qualche ingenuità, si fa leggere bene ed è in grado di accontentare anche il lettore scafato di romanzi di genere.
Si nota la mancanza di un lavoro di editing che avrebbe snellito alcune parti in eccesso, ma non sono evidenti strafalcioni o gravi mancanze. Apprezzabile anche il lavoro di caratterizzazione psicologica dei personaggi, seppure le figure ricalchino qualche stereotipo di troppo; difetti comunque marginali e oserei dire “fisiologici” per uno scrittore giovanissimo che, sono certo, saprà formare nelle successive opere uno stile maggiormente definito.
Molto interessante e personale invece l’uso dei flashback che si concatenano sequenzialmente alla storia, tra passato e presente, in maniera logica e armoniosa, generando curiosità e vivo interesse nel lettore.
Concludo questa analisi con un grande in bocca al lupo e un forte grido d’incoraggiamento a Paolo, chiamato ora al compito di migliorare quanto di buono ha saputo realizzare, con impegno e spirito di sacrificio e, soprattutto, dare degna conclusione a una storia che reclama ancora tante misteriose e inquietanti risposte.


Articolo di Marco "killer mantovano" Piva

Dettagli del libro
  • Prezzo per Unità (piece): €15.00
  • Cod: 978-88-7495-419-3
  • Prezzo: euro 15,00
  • Pagine: 400
  • Formato: cm 13x20

lunedì 23 gennaio 2012

La colpa - Lorenza Ghinelli (Newton and Compton 2012)


Matite: rossa, gialla, verde, blu, viola. Matita nera. Greta afferra la prima e graffia sopra un Fabriano ruvido un arco insanguinato. Poi, in successione, usa le altre tracciando archi su archi, appiccicati, ammassati. Greta fissa l’arcobaleno sul foglio. È il turno della matita nera, ora. Le manine premono la sua punta sul Fabriano spingendola avanti e indietro, sbriciolandola. Il nero mangia il bianco, linee spesse e grasse, sotto l’arcobaleno. Greta si ferma, osserva. E nota che qualcosa manca, qualcosa di molto, molto importante. Qualcosa che solo la matita nera può mostrare. In basso a destra, sotto le linee spesse e grasse, la matita nera traccia due cerchi, e sotto uno più grande. In quello più grande disegna due macchioline nere: occhi. Sotto gli occhi un triangolo nero: naso. Dal naso linee nere: baffi.

Torna nei negozi con il secondo nuovo ambizioso lavoro la giovanissima e talentuosa scrittrice romangnola, Lorenza Ghinelli (qui in un'intervista per Corpi Freddi) dopo il clamoroso successo editoriale del discusso debutto “Il divoratore”, edito ancora una volta per i tipi della Newton and Compton.
Chi si aspettava un’opera sulla scia di “Il divoratore”, ossia una favola nera con forti intrusioni nel soprannaturale, rimarrà probabilmente spiazzato. Sicuramente “La colpa” possiede un’anima oscura, evidente nelle tematiche affrontate e in alcune situazioni che virano nel visionario e nell’onirico. Gli incubi a cui Lorenza dava forma nella rappresentazione dell’uomo nero in “Il divoratore”, qui prendono vita dalla più cruda, problematica e impietosa realtà.
Rimangono in ogni caso presenti forti analogie con “Il divoratore”, soprattutto per la volontà – necessità di tratteggiare storie sofferte di bambini e giovani adolescenti, che vivono situazioni fortemente critiche e problematiche.
“La colpa” è la storia di tre giovani adolescenti, Estefan, Martino e Greta, tre sfortunate creature alle quali è stata rubata l’infanzia e sono stati spezzati i legittimi sogni di bambini. Estefan convive con il senso di colpa per avere assistito impotente alla morte naturale del piccolo fratellino nella culla; Martino ha subito il trauma di un abuso sessuale da parte dello zio; Greta è stata data alla luce da una madre drogata, morta subito dopo il parto per complicanze correlate alla sua tossicodipendenza.
L’interessante idea che sta alla base del romanzo è proprio quella relativa al senso di colpa che, a volte, si genera non a causa di una responsabilità diretta dell’individuo, quanto da un’azione malvagia effettuata da terzi (in questo caso la persona matura inserita nel contesto familiare) o da episodi drammatici avvenuti in maniera fortuita, situazioni però che pregiudicano in maniera totale la vita delle persone coinvolte.
Martino si sente sporco e sbagliato per la violenza subita e si difende con l’aggressività, Estefan non riesce ad accettare la morte del fratello imputandola a un suo torto e si rifugia in un mondo parallelo popolato da incubi e mostri immaginari, Greta soffre la mancanza della mamma e cerca conforto nella natura selvaggia e nel suo cavallo che alleva con grande affetto. Forse solo il loro rapporto di amicizia potrebbe rappresentare lo strumento di recupero e redenzione, l’unico sentiero possibile per intraprendere un corretto cammino esistenziale
Mi la lasciato sensazioni contrastanti questo secondo lavoro di Lorenza. Apprezzo molto la potenza della sua scrittura che si esprime anche, e questa è un’altra costante della sua produzione, nell’utilizzo della forma espressiva del disegno che assume un ruolo quasi catartico ed esorcizzante delle paure; dice bene Valerio Evangelisti nell’affermare che “Lorenza Ghinelli riesce a fare apparire lineare ciò che è complesso, a farci scivolare su frasi in cui ogni parola è in realtà è studiata”. Rimane però l’impressione che il messaggio non mi sia arrivato nella sua globalità con la necessaria forza e incisività, probabilmente anche per il deciso e inaspettato cambio di rotta operato.
Va tuttavia affermato che la Ghinelli ha dato prova di grande coraggio nel pubblicare un romanzo che trascende il genere e rimane difficilmente etichettabile. Poteva con facilità scegliere la strada più comoda, cercando di ricalcare in modo ruffiano il successo commerciale di “Il divoratore”. Dalla lettura di “La colpa” si percepisce in maniera molto evidente quanto la scrittrice ci abbia messo cuore e anima nel progetto, con grande trasporto e impegno, dando prova di grande carattere e personalità.
Credo in Lorenza, nel suo bagaglio tecnico e, soprattutto, nel suo spirito che non si lascia addomesticare ma che cerca, con fermezza, un percorso proprio, gridando con forza una propria identità.


Articolo di Marco "killer mantovano" Piva

Ricordiamo inoltre che sabato 28 gennaio alle ore 18.00, presso la Libreria Melbookstore Mantova  in Via Verdi, il Killer Mantovano presenta la Ghinelli!!

Dettagli del libro
  • Formato: Rilegato
  • Editore: Newton Compton
  • Anno di pubblicazione 2012
  • Collana: Nuova narrativa Newton
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 241
  • Codice EAN: 9788854135291
  • Prezzo di copertina: € 9,90

domenica 22 gennaio 2012

Intervista a Fabio Sanvitale (Un mostro chiamato Girolimoni - Sovera Ed.)


Intervista a Fabio Sanvitale autore con Armando Palmegiani del true crime “Un mostro chiamato Girolimoni”(SoveraEditore)
di Cristina Marra

Giornalista investigativo, esperto nei casi storici della cronaca nera italiana e internazionale, Fabio Sanvitale è anche autore del true crime “Leonarda Cianciulli.La saponificatrice” con Vincenzo Mastronardi. In “Un mostro chiamato Girolimoni – Una storia di Serial Killer di bambine e innocenti”(Sovera Editore, pag.175, euro 15,00) insieme ad Armando Palmegiani ricostruisce la vicenda del serial killer di sette bambine uccise a Roma negli anni Venti. Dall’innocenza di Girolimoni a nuove verità, il caso viene riaperto dai due autori che si avvalgono della consulenza di esperti e si occupano delle indagini in prima persona, facendo con gli occhi da detective, sopralluoghi nelle strade dei delitti e avvalendosi delle nuove tecniche investigative.

Cristina Marra: Perchè la scelta del caso Girolimoni? In cosa si diversifica questo libro dagli altri tre dedicati al “serial killer” delle bambine?

Fabio Sanvitale: E’ presto detto: la maggiore accuratezza della ricerca storica e quindi il miglior tentativo di trovare un’identità all’assassino delle bambine di Roma. Come sempre, con Armando Palmegiani, abbiamo creato uno staff di consulenti che ci hanno accompagnato in questo viaggio nel tempo, dandoci quel qualcosa in più, in termini di intuizioni ed osservazioni, che da soli non avremmo raggiunto. Non siamo partiti da una tesi precostituita –Dosi voleva dimostrare che il vero colpevole fosse Lyonel Brydges e la Sciarelli ha seguito questa pista- ma da zero.

CM: Marchiato come pedofilo ma innocente. Mi tratteggi brevemente la figura di Gino Girolimoni?

FS: Girolimoni era un lavoratore ed un gaudente e questo, soprattutto questo, gli ha nuociuto. In una società rigida e ante guerra aveva un’auto, non era sposato, si divertiva. Insomma, faceva quello che tanti altri non potevano permettersi e forse quando lo arrestano, quel brigadiere che lo incastrò gli fece scontare anche l’auto che non poteva avere, le donne che non poteva permettersi…Dall’esperienza Gino uscì distrutto moralmente ed economicamente. Morì da ciabattino, in una stanza in subaffitto.

CM: Hai scritto il libro con Armando Palmegiani. Com’è stato il vostro metodo di ricerca e di scrittura?

FS: Abbiamo innanzitutto fatto una ricerca storica in tutti i luoghi dove credevamo e sapevamo di trovare notizie utili. Ci siamo spinti fino a Perugia, per cercare, per avere la massima accuratezza. Quotidiani dell’epoca, tesi di laurea, numerosi archivi e testimoni del tempo ci hanno parlato. Ognuno di noi ha aggiunto le sue osservazioni personali e su questo ci siamo molto confrontati, spesso di fronte a degli interessanti prodotti di pasticceria. Generalmente ogni capitolo ha avuto una prima impostazione mia e poi Armando correggeva, aggiungeva, modificava, aprendo nuovi orizzonti e idee. Il titolo, che a me piace molto, è suo abbiamo condiviso l’impostazione del libro: una camminata, un percorso tra i vari luoghi del caso Girolimoni e, dunque, di Roma.

CM: Che ruolo ha avuto nella vicenda il funzionario di polizia Giuseppe Dosi?

FS: Dosi interviene quando Girolimoni è già stato prosciolto dalle accuse e cerca il vero colpevole con metodo, quello che era mancato agli altri investigatori. Sente enormemente il caso, forse perché vi erano coinvolte le bambine, sicuramente per senso di giustizia. Riesce a portare l’attenzione sul reverendo Brydges, ma quando i giudici non gli credono e lo liberano finisce con l’insistere così tanto con la sua tesi che finisce lui stesso per diventare vittima della macchina della giustizia. Un paradosso terribile!

CM: Il libro ricostruisce il periodo storico e sociale in cui sono avvenuti gli atroci infanticidi e sulla ricerca e analisi scientifica e documentaristica. Svela una nuova verità?

FS: Dopo tanti anni non speravamo in tanta grazia! Però motiva come mai non poteva essere Brydges e propone il profilo del vero autore di reato, fatto grazie ai nostri consulenti, appunto. Su questo con Armando ci siamo confrontati a lungo in termini investigativi e sotto questo profilo, sì, c’è una nuova verità. Io credo che fosse l’unico senso possibile di questo libro, perché raccontare soltanto una storia già raccontata da altri non avrebbe avuto molto senso e c’era da raggiungere qualcosa di molto importante: la verità. Perlomeno il più possibile.

CM: Hai scritto anche “Leonarda Cianciulli. La saponificatrice”(Armando editore). Dalla tua esperienza di giornalista investigativo c’è differenza tra serial killer uomini e donne?

FS: Certo che c’è! Sono proprio diverse sia le motivazioni che le modalità delle serie omicidiarie. Spesso le donne sk uccidono per appropriazione di beni ed uccidono loro famigliari. Gli uomini vivono per uccidere, per piacere, per desiderio di dominio, di controllo. Le donne sembrano essere più pratiche, più dedite alla sopravvivenza, quasi un retaggio della necessità di gestire la casa, il nucleo familiare…

CM: Qualche anticipazione sul tuo prossimo libro? Continuerai a scrivere con Palmegiani?

FS: Assolutamente sì! Ci siamo trovati benissimo, abbiamo lavorato in modo assolutamente non stressante, non è poco. E ci lega un’amicizia che viene da prima dei libri. Entrambi abbiamo una formazione scientifica (Armando Palmegiani è esperto della scena del crimine, io per formazione universitaria) quindi usiamo una chiave di valutazione molto legata alla prova legale: o c’è o non c’è, niente illazioni. Entrambi amiamo il sapore dei delitti storici e amiamo Roma. Ce n’è da scrivere! Ora stiamo lavorando sui delitti della Dolce Vita.

CM: Fabio sei un giornalista investigativo, ti cimenterai anche in un romanzo?

FS: Bella domanda! una volta avrei risposto di no, adesso ci sto ripensando. Credo che proverò. Certo sono molto legato alla realtà e quindi è da lì che prenderò spunto. Temo che dovrete sopportarmi anche in questa veste…

CM: Tanti gli omicidi e casi ancora irrisolti che riempiono le pagine dei giornali. L’Italia è un paese di misteri?

FS: Purtroppo sì, basta vedere le statistiche dell’Interpol sulle percentuali di delitti insoluti negli altri paesi ed in Italia. Da noi è assolutamente più alta, anche se abbiamo meno violenza e meno omicidi. Il discorso sarebbe lungo, ma purtroppo sì: siamo ancora un paese con troppi delitti irrisolti. Anche se non credo nella dietrologia: quasi sempre, alla fine, la spiegazione, quando la trovi, è assai semplice. Come all’Olgiata, no?

Intervista di Cristina Marra


Dettagli del libro

  • Titolo del Libro: Un mostro chiamato Girolimoni. Una storia di serial killer di bambine e innocenti
  • Autori: Sanvitale Fabio Palmegiani Armando
  • Editore: Sovera Multimedia
  • Collana: Inchieste
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • Genere: problemi e servizi sociali
  • Argomento: Girolimoni, gino
  • ISBN: 8866520039 9788866520030

sabato 21 gennaio 2012

Ebook serial e Chichili Agency


Vogliamo parlare di ebook? E parliamo di ebook…
C’è questa agenzia tedesca, la Chichili Agency, ora anche presente in Italia con una sezione italiana in fase di lancio, che pubblica solo quelli. Ebook intendo. Usa però spesso un formato particolare, ovvero seriale.
Cosa vuol dire?, vi starete chiedendo. E me lo sono chiesto anche io. Avete presente le serie televisive? Ecco, con gli ebook è uguale: non un ebook intero, bensì diviso per puntate. Scritte dallo stesso autore, con un unico protagonista, una trama o un genere in comune per tutte le puntate, oppure scritte da diversi autori, con solo il genere in comune. Racconti autoconclusivi, oppure sapientemente interrotti proprio al punto giusto.
Che senso ha? Semplice: gli ebook spesso vanno letti di fretta, in una sala d’attesa, in metropolitana, dal dottore. Giusto il tempo per 40 pagine circa, e si deve scendere dal treno per andare a lavorare. Non devi interrompere la lettura in quanto, molto probabilmente, la puntata riesci a finirla. Ti è piaciuta? Bene, compri pure la seconda. Non ti è piaciuta? Chi se ne frega. Intanto hai speso solo 0,99 centesimi per una puntata!
Ovviamente, sono andato ad analizzare la cosa e mi sono imbattuto in un seriale che si intitola CHILLS (quindi Brividi), che fa molto al mio caso. Indagando un po’ su amazon.it, ho scoperto che le prime due puntate sono entrate nella classifica horror del Kindle-Shop.
Pierluigi Curcio, con “Ordinary man”, ha raggiunto l’ottavo posto e Novelli&Zarini, con “Santa Claus is coming to town…”, è arrivato al dodicesimo. Io li ho letti dal barbiere, che è di una lentezza disarmante. Solitamente, nell’attesa del mio turno, mi faccio un bel sonnellino. Questa volta, niente da fare: Curcio mi ha sorpreso. Non lo conoscevo e devo dire che scrive proprio benino.

Riassumendo la trama di poco più di 30 pagine, c’è da dire questo: 3 coppie di amici, vanno in vacanza in un agriturismo, nei pressi di una cascina medievale. Vengono ben accolti da una coppia di anziani, che però appaiono sin dal primo momento, alquanto strani. Eventi sconcertanti si iniziano a verificare durante la prima nottata. Orrore tangibile, orrore inquietante, orrore sublime e un “Ordinary man”, scomparso in un passato neanche troppo lontano.



Novelli e Zarini invece mi hanno dato conferma del loro stile lineare e diretto: una donna, alla vigilia di Natale, va in città per comprare gli ultimi regali. Già a partire dalle prime frasi, l’atmosfera appare cupa, minacciosa e non se ne capisce il motivo. Sospetti, sì. Ma nessuna certezza. Solo più avanti nel racconto, quando Sandra, la protagonista, si imbatte in una figura misteriosa, si riesce a dare un volto al pericolo che incombe. Finale da pugno nello stomaco. Lo trovate su Amazon a 0,99 centesimi su questo link


Che vi devo dire? Se deve proprio essere un ebook, lo preferisco seriale. Ed è proprio questo il formato scelto anche per i racconti vincitori del nostro concorso CorpiFreddi, con la speranza che anche loro, con l’aiuto della Chichili Agency, possano entrare in qualche classifica.

Articolo di Enzo BodyCold Carcello

venerdì 20 gennaio 2012

Una storia crudele – Natsuo Kirino (Giano Ed. 2011)


"La mia storia crudele era stata usata per secondi fini"

«Da spedire al Dott. Yahagi della Bunchosha». Sono queste le parole che Ubukata Keiko, scrittrice trentacinquenne conosciuta con lo pseudonimo di Koumi Narumi lascia su un post-it posto sul suo ultimo manoscritto prima di scomparire nel nulla. Il marito lo trova e lo spedisce all'editor citato. E' preoccupato per la moglie, lui sa cosa si cela nel suo passato....
Il manoscritto non è un nuovo best-seller, da tempo ormai Koumi Narumi ha esaurito la sua vena creativa. E' semplicemente la sua storia, o meglio la storia, tra realtà e visioni, di una bambina di dieci anni che un giorno tornando a casa dalla lezione di danza viene rapita da un giovane uomo (Kenji) che la terrà con lui per più di un anno e che passato un primo momento di terrore e angoscia instaurerà con lui un rapporto ambiguo, che lei stessa ha difficoltà a comprendere, tanto che quando verrà ritrovata sceglierà il silenzio per paura di essere fraintesa.
“Una storia crudele” pubblicato in Italia da Giano è il primo romanzo di Natsuo Kirino che ho letto. Mi aspettavo qualcosa di meglio onestamente. Lo stile narrativo è buono e la storia ha un potenziale ma per tutto il tempo ho provato una sensazione di incompiutezza, come se alla storia mancasse veramente qualcosa per essere speciale.
Le prime pagine mi hanno coinvolta molto, poi la parte centrale è diventata un po' piatta e nebulosa, rasentando la noia. Alla fine per fortuna si riprende, anche se il mistero più grande non è stato svelato. Anche i personaggi hanno qualcosa di poco definito, non ce n'è uno che onestamente spicca rispetto agli altri, non ce n'è uno al quale appassionarsi.
L'apatia e l'assenza di emozioni che Keiko vivrà dopo il rapimento non sono riusciti a rendermela più simpatica, anzi a volte ho avuto la voglia di scuoterla, avrei voluto vederla piangere o urlare ma mi rendo conto che non è facile comprendere cosa si cela nella mente di chi ha vissuto un'esperienza simile.
Probabilmente saranno in molti a non condividere il mio pensiero, perché Natsuo Kirino ha molti estimatori tanto da essere definita la regina del delitto e tutto sommato non mi sento di sconsigliare la lettura di questo romanzo a chi ne avrà voglia; leggerlo non è dispiaciuto neanche a me, forse avevo delle aspettative troppo alte o forse devo entrare un po' di più nel suo mondo per poterla apprezzare a pieno.

Articolo di Marianna "mari" De Rossi

Dettaglio del libro

  • Formato: Rilegato
  • Editore: Giano
  • Anno di pubblicazione 2011
  • Collana: Blugiano
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 235
  • Traduttore: G. Coci
  • Codice EAN: 9788862511117
  • Prezzo di copertina: € 16,50

giovedì 19 gennaio 2012

Il segno dell'untore - Franco Forte (Mondadori 2011)


Lo sapevate che i funzionari del Tribunale di Giustizia di Milano erano all’avanguardia, per ciò che atteneva le indagini di polizia? Per esempio, erano soliti portare con sé dei bastoncini con la punta ricoperta di cera, con i quali frugavano fra gli oggetti appartenuti alle vittime di un omicidio, o su ciò che trovavano sul luogo di un delitto. Questo per frugare con sicurezza (secondo le credenze dell’epoca) fra gli oggetti rinvenuti sui luoghi degli omicidi senza rischiare di toccare qualcosa che potesse essere stato infettato dalla peste, che nel 1576 stava decimando la popolazione di Milano. Credevano che, se avessero toccato qualcosa imbevuto dell’umore della malattia, questo sarebbe scivolato sulla cera dei loro bastoncini, e con una semplice scrollatina se ne sarebbero liberati, senza rischiare contagi.

Questo e molto altro vi gusterete nel romanzo di Franco Forte, Il segno dell’untore.

Pensate a una città come Milano, in un’età come il secondo Cinquecento: gli spagnoli spadroneggiavano, l’Inquisizione incuteva terrore, la peste si diffondeva implacabile e la popolazione era prostrata, mentre sui muri erano sparse le gride, copiose e prolisse – Manzoni docet – si possono scorgere sui muri. Qui, però, chi non osserva le ordinanze viene punito e anche nel modo peggiore: così capita di alzare la testa e veder oscillare dal cappio un corpo pallido di, segnato dalle striature violacee dei colpi di frusta inferti prima dell’impiccagione.

«Mentre scivolava lungo le strade, diretto al palazzo in cui era stato allestito uno dei tanti provvisori centri di Sanità sparsi in ogni quartiere, Niccolò cercava di guardarsi intorno il meno possibile. Teneva gli occhi puntati sull’acciottolato resistendo al richiamo di urla disperate, grida strazianti, suppliche d’aiuto o strilli di rabbia che provenivano dalle case sbarrate dai monatti e dai commissari di Sanità per evitare che presunti malati di peste uscissero a infettare le poche persone sane che ancora si aggiravano per la città. Era difficile resistere allo strazio di quelle grida».

Pensate a un affresco storico perfettamente reso, con scorci di città, odori, sapori, costumi tanto differenti dai nostri. Leggendo questo thriller storico sarete immediatamente calati nella vicenda e i due misteri trainanti – il furto di un candelabro di Benvenuto Cellini, sottratto al Duomo e l’assassinio del Commissario Inquisitoriale Bernardino da Savona – saranno semplice viatico di un cammino ben più profondo: quello alla scoperta di un’epoca, dei suoi personaggi, non importa se veri o inventati (ne troverete sia di realmente esistiti sia di fittizi, ancora Manzoni docet quando afferma che il romanzo storico è «…un misto tra storia e invenzione»).
Ne Il segno dell’untore compare il Notaio Criminale Niccolò Taverna, giovane interessante – si può anche definire bello: alto, naso forte, capelli neri ben tagliati – ma soprattutto dall’intelligenza finissima e da una predisposizione alla deduzione e alla logica inedite per i suoi tempi, che gli saranno utili.
Come sopra anticipato, sono due le questioni che Taverna dovrà risolvere. Partiamo dal furto del candelabro. È un’opera pregiata del Cellini trafugata dal Duomo di Milano, la cui sparizione ha subito messo in moto delegati arcivescovili e magistratura. L’arcano si infittisce quando Niccolò scopre che è stato rubato un altro oggetto, ben più prezioso: la reliquia del Sacro Chiodo della Croce di Cristo, dono diretto dell’imperatore Costantino a sant’Ambrogio. A ciò si somma il delitto vero e proprio: è stato trovato morto Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione (aveva il ruolo di tentare di imporre le decisioni della Corona di Spagna sul suolo del Ducato meneghino e di occuparsi degli ordini ecclesiastici impegnativi). Il tutto si svolge all’ombra di due poteri – uno temporale e uno secolare – non irrilevanti: rispettivamente la Corona di Spagna e la Chiesa di Milano, incarnata nell'arcivescovo Carlo Borromeo.

Detto questo, vorrei entrare più nel profondo del libro e concludere dimostrando ciò che sostenevo all’inizio, ovvero il “senso storico” offerto ai lettori, a mio avviso unito a una solida e scorrevole tenuta della storia, e per farlo riporto, come esempio, le pagine in cui Niccolò si reca nel luogo del delitto:

«Quando arrivarono in Corsia de’ Servi, non fu difficile individuare l’edificio in cui era stato commesso il delitto: una moltitudine di gendarmi stazionava davanti a una palazzina bassa, di soli due piani, incastrata fra imponenti edifici suddivisi in decine di stanze. La schiera di soldati era colorata e multiforme, e Niccolò distinse i fregi degli sbirri del capitano di Giustizia, i giustacuori e le alabarde della scorta personale dell’ufficiale di Sanità e una quantità enorme di gendarmi e soldati comuni, provenienti in gran parte dal distaccamento di Porta Romana, il più vicino al luogo del delitto. Tanta abbondanza non poteva che essere segno della presenza di gentiluomini d’alto rango, come Tadino aveva preannunciato. E questo era ancora più strano, visto che di solito, durante le situazioni di emergenza sanitaria, le alte cariche del Ducato preferivano restarsene rintanate nei loro palazzi e mandare a fare il lavoro sporco funzionari di basso rango come lui».

L’autore
Franco Forte nasce a Milano nel 1962. Giornalista, traduttore, sceneggiatore, editor delle collane edicola Mondadori (Il Giallo Mondadori, Urania e Segretissimo), ha pubblicato i romanzi Roma in fiamme, I bastioni del coraggio, Carthago, La Compagnia della Morte, Operazione Copernico, Il figlio del cielo, L’orda d’oro – da cui ha tratto per Mediaset uno sceneggiato tv su Gengis Khan –, tutti editi da Mondadori, e La stretta del Pitone e China killer (Mursia e Tropea). Per Mediaset ha scritto la sceneggiatura di un film tv su Giulio Cesare e ha collaborato alle serie “RIS – Delitti imperfetti” e “Distretto di polizia”. Direttore delle riviste Romance Magazine (www.romancemagazine.it) e Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it), ha pubblicato con Delos Books Il prontuario dello scrittore, un manuale di scrittura creativa per esordienti giunto alla settima edizione. Il suo sito è www.franco-forte.it mentre quello del libro è http://www.ilsegnodelluntore.it.

Articolo di Marilù Oliva

Dettagli del libro

  • Formato: Rilegato
  • Editore: Mondadori
  • Anno di pubblicazione 2012
  • Collana: Omnibus
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 342
  • Codice EAN: 9788804620150
  • Prezzo: 15,00€

mercoledì 18 gennaio 2012

Intervista a Carlo Andrea Cappi (Il Visconte - Sperling Kupfer 2011)



Corpi Freddi: Com'è nata la collaborazione con Brera?

Andre Carlo Cappi: Da uno splendido libro su Don Giovanni curato da Brera quando dirigevo Alacran Edizioni. Da lì ho scoperto la sua vasta cultura, anche sul piano storico, e il suo talento per le lingue (traduce da otto lingue diverse). Per cui, quando è venuto a propormi di scrivere a quattro mani un romanzo di spionaggio ambientato nel XIX secolo, mi sono reso conto che era la grande occasione di scrivere un libro che a me, da solo, avrebbe richiesto decenni di preparazione.

CF: Come mai proprio un romanzo storico?

ACC: Brera è un grande conoscitore dell'Ottocento e l'occasione è stata il 150° anniversario dell'Unità d'Italia (o, più correttamente, della nascita del Regno d'Italia nel 1861). E' un periodo di cui abbiamo tutti una sommaria conoscenza scolastica, mentre in realtà gli intrighi che si nascondono dietro Risorgimento e Guerre d'Indipendenza sono materiale perfetto per gli autori di spionaggio e di avventura. Senza contare che dalla storia si ricavano spesso informazioni sul mondo in cui viviamo. Per esempio, la politica italiana di quei tempi era condizionata dalla Francia e da una potenza mitteleuropea di lingua tedesca, mentre l'Inghilterra voleva fare da sola e la Russia aveva i suoi interessi nascosti... mentre oggi invece, ehm...

CF: Confesso che uno dei libri più importanti della mia vita fu un saggio/manuale su come scrivere i thriller, “Elementi di tenebra. Manuale di scrittura thriller”. Un manuale di scrittura decisamente diverso da altri in commercio dove in fin dei conti ti si consiglia di leggere tantissimo prima di iniziare a scrivere. Parlami un po’ di questo libro.

ACC: Il libro è figlio di un'esperienza precedente, «Improvvisazioni d'autore», che insegnava a comprendere le tecniche di scrittura basandosi sulla lettura e mettendo in luce certi meccanismi. Anche «Elementi di tenebra» è in effetti un manuale di lettura consapevole, in cui ho cercato di spiegare l'evoluzione del genere, le tipologie e gli stereotipi. Il libro riassume anni di mie letture e interviste ad autori di tutto il mondo, che spiegano quello che fanno e perché. Naturalmente non si diventa scrittori per avere letto un libro ma, se lo si è già, un testo del genere permette di capire meglio ciò che si legge e trasformare ogni lettura in una lezione.

CF: Tornando a "Il visconte" quanto c'è di Cappi e quanto di Brera nella stesura del romanzo?

ACC: In principio era tutto di Brera, dal momento che l'idea è partita da lui. L'apparente divisione del lavoro doveva essere: a lui le parti più storiche (e le finezze linguistiche) e a me gli aspetti più giallo-spionistici. Ma alla fine è difficile dire quanto c'è dell'uno e dell'altro. Ci siamo contaminati a vicenda.

CF: Dal punto di vista meramente tecnico, come avete preparato questo romanzo? Vi incontravate spesso? Preparavate separatamente i vostri pezzi e li confrontavate?

ACC: Ci sono stati alcuni incontri di base per decidere la struttura del romanzo, poi il resto del lavoro è avvenuto via email, con qualche telefonata; anche perché Brera era spesso in Francia e io in Spagna. Ricordo una volta che il telefono mi si è messo a suonare con il nome «Paolo Brera» sul display mentre stavo attraversando di corsa l'interminabile aeroporto di Madrid per prendere una coincidenza al volo. In quel caso «Il Visconte» avrebbe rallentato la mia prestazione olimpionica.

CF: In questi anni il romanzo storico ha avuto un picco di interesse da parte dell’editoria in generale e dal punto di vista delle vendite. Come ti spieghi una cosa simile?

ACC: La storia è una miniera vasta e inesauribile di ambientazioni, anche se per scrivere un romanzo coerente di questo filone occorre una grande preparazione, per non prendere cantonate; ma anche, al tempo stesso, la capacità di far entrare il lettore in un mondo diverso senza essere troppo didascalici. In realtà il romanzo storico esiste da sempre e ha sempre avuto successo. Mi vengono in mente Angelica dei Golon e il capitano Hornblower di Forester, per arrivare nel campo del giallo storico ai romanzi di Anne Perry e a quelli di Danila Comastri Montanari. Forse in Italia ce ne stiamo rendendo conto solo da pochi anni. Di sicuro il giallo storico ha una caratteristica che non riescono più ad avere molti gialli contemporanei, condizionati dalle procedure di polizia, dallo spettrografo di massa e dall'esame del DNA: ha ancora una forte componente di confronto psicologico tra investigatore, assassino e vittima.

CF: Appassionato di fiction crime, oggi su fb ricordavi del doppio anniversario della nascita di uno dei personaggi che forse maggiormente ti ha cresciuto dal punto di vista letterario, 007.

ACC: Non ho difficoltà a dire che, quando a sei anni ho visto «Agente 007 Licenza di uccidere» ho capito quali sarebbero stati alcuni dei principali interessi della mia vita, uno di questi le donne. Il martini è venuto dopo. Non è stata l'unica influenza (cito sempre anche Hitchcock e gli spaghetti western tra le mie prime esperienze cinematografiche formative) ma sicuramente una passione che dura tuttora e che mi ha portato a scrivere saggi su 007, tradurre numerosi romanzi della serie, riscoprire un racconto dimenticato di Ian Fleming – che tre anni fa è stato inserito nell'edizione definitiva delle storie brevi di 007 – ed essere per qualche tempo anche l'editore italiano di James Bond.

CF: Altro personaggio a te caro è Diabolik. Anni fa recensimmo il bellissimo doppio libro dedicato proprio a Diabolik ed Eva Kant. Da dove nasce la passione per il fumetto?

ACC: La passione nasce... dai fumetti. La mia scoperta di Diabolik coincide come epoca con quella di 007 e mi ha aperto un mondo di avventure. Il sogno di molti lettori è quello di scrivere storie dei loro personaggi preferiti, una fortuna che, per quanto riguarda Diabolik ed Eva Kant, sono riuscito ad avere più volte nel corso dell'ultimo decennio. Nel loro caso, non mi sono avvicinato come «autore» che si appropria di un personaggio e come spesso avviene lo stravolge (del resto né i titolari dei diritti né i lettori, giustamente, me lo avrebbero consentito); ho preferito indagare nella psicologia dei personaggi come erano stati raccontati dalle sorelle Giussani e dagli sceneggiatori che hanno lavorato con loro in quaranta (quando ho cominciato) e cinquanta (oggi) anni di storie a fumetti. Tutto questo senza rinunciare né alla complessità romanzesca delle trame né all'azione che contraddistinguono questi personaggi.

CF: Altro progetto molto interessante è Borderfiction. Sito che si occupa di crime a 360 gradi che vede la partecipazione di nomi illustri del panorama letterario milanese. Parlacene un po’.

ACC: Borderfiction.com nasce per occuparsi non solo di crime story ma in generale di tutta la fiction di genere che abbia a che fare con l'avventura, la frontiera e la tensione, che si tratti di letteratura, fumetti, cinema e tv, La lista dei collaboratori comprendono anche firme al di fuori del panorama milanese o italiano, come Raymond Benson, già scrittore di molti romanzi di 007 e oggi autore di thriller originalissimi, ma anche docente di cinema a Chicago. E sto cercando di reclutare anche qualche altro nome illustre. Il territorio che vogliamo esplorare non è solo quello del giallo/noir in tutte le sue forme, ma anche quello dell'avventura, del western, della fantascienza, dell'orrore... e delle loro contaminazioni reciproche. E' il motivo per cui, in una mia rubrica, recupero film meno noti o dimenticati, alla ricerca di strade che valga la pena di percorrere per non scrivere (e leggere) sempre delle stesse cose, o almeno farlo in modo innovativo.

CF: Per finire vorrei concludere con una piccola considerazione. Non ho mai conosciuto in vita mia un gruppo affiatato come quello della combriccola milanese. Di Marino, Cappi, Pinketts, Narciso, Basilico, Canciani, ecc. Inutile chiedervi come vi siete incontrati perché di certo l’ amore per questo genere letterario credo sia stato il perno di tutto. Ma vi incontrate cosi spesso come volete farci credere? Io personalmente, per fare un esempio, ho imparato a conoscere più Pinketts, dai vostri aneddoti che dalle interviste dirette a lui.

ACC: Il primo punto di incontro milanese è stato la celebre «Libreria del Giallo», che oggi non esiste più. Poi ci sono stati i vari locali che hanno ospitato gli incontri con autori organizzati da Pinketts, spesso con la mia collaborazione, nel corso degli ultimi vent'anni. Da quindici anni uno dei luoghi di riferimento è l'Admiral Hotel, che ora ospita gli appuntamenti settimanali di Borderfiction. E vanno citati Le Trottoir, in cui vedo Pinketts almeno un paio di volte la settimana, e il negozio Bloodbuster, autentico luogo di perdizione per gli appassionati di cinema. Sì, ci si vede spesso e da queste serate sono nati progetti, riviste, case editrici e siti internet. Il tutto come volontariato culturale, non sorretto da fondi pubblici ma dai nostri... e dati i consumi alcolici di molti di noi possono essere costi molto gravosi!

CF: Tra gli emergenti usciti fuori in questi mesi, secondo te chi vale la pena leggere?

ACC: Quelli che nelle serate Borderfiction da qui fino all'estate si alterneranno ad autori già affermati... ma non ho ancora reso pubblico il calendario e non vorrei guastare le sorprese.

CF: Cosa bolle adesso in pentola? (e non mi rispondere la cassoeula :D)

ACC: Il mio settimo romanzo di Nightshade, firmato François Torrent, che sarà in edicola da Segretissimo Mondadori nell'agosto 2012, collegato a un progetto musicale che ancora per qualche settimana non posso rivelare. È un romanzo particolarmente importante, perché chiude un ciclo cominciato dieci anni fa e, auspicabilmente, ne aprirà un altro. D'altra parte la collana Segretissimo è uno dei laboratori più interessanti per la narrativa di genere e ha lettori fedeli ma esigenti, due elementi molto stimolanti per chi scrive.


Intervista di Enzo "BodyCold" Carcello

martedì 17 gennaio 2012

Venti corpi nella neve - Giuliano Pasini (TimeCrime 2012)



“Quando si arriva a compiere un delitto, qualcosa è già morto prima. E quella morte, che nessuno ha visto, che nessuno ha pianto, appartiene al futuro assassino" ( Yoric Malatesta - Dr Morgue- Ed. Star Comics )

"15 luglio 1944: Castello di Serravalle (Bo) - Zocca (Mo), dopo l'uccisione di due soldati tedeschi a Ciano - una frazione di Zocca (Mo) sul confine delle province di Modena e Bologna - la "Compagnia della morte" di stanza a Castello, comandata dal capitano Enrico Zanarini, rastrella una quarantina di persone della zona. Sottoposte a innumerevoli sevizie, venti di loro saranno poi impiccate il 18 luglio per rappresaglia a Boschi di Ciano, sul luogo dove erano stati uccisi i due militi tedeschi. I loro nomi sono sul monumento che oggi ricorda quell'eccidio."

Un piccolo piccolissimo borgo sull'Appennino tosco-emiliano. Un paese di quelli che sembrano usciti da una cartolina natalizia. Abbarbicati sulle rocce, incuneati tra le cime di montagne, che non hanno molto da invidiare alle "sorelle più grandi" che abbracciano i confini della nostra penisola, cinti da tornanti e strapiombi. Piccoli scrigni cesellati da trasparenze di ghiaccio e candore di neve d'inverno, quando anche il cielo sembra volerne custodire i contorni. Così in alto e così remoti che puoi pensare che solo buoni propositi e respiri fraganti di ossigeno nuovo siano possibili in tali luoghi. Che nulla, nulla di brutto verrà mai a prenderti lì o a ricordarti chi eri e chi sei. Ma come insegna la Storia, la neve durante il disgelo e finanche la solitudine più estrema, nessun
luogo è mai scevro dai ricordi, nè è solamente quello che appare alla vista.
Se ne accorgeranno gli abitanti di Case Rosse, sindaco e agente Manzini in testa, nati e cresciuti in quei luoghi, e il Commissario Roberto Serra, trasferitosi da Roma in quel presepe in miniatura.
Tre corpi giacciono supini accanto alla stele di pietra che svetta sul Monte della Libertà ( o Prà grand come lo chiamano in paese ), uccisi a colpi di fucile. Un uomo una donna ed una bambina, irriconoscibili i volti, devastati ognuno dalla potenza ravvicinata di un singolo proiettile. Un'esecuzione brutale che, nonostante la contaminazione involontaria (e volontaria ) della scena del crimine, lascia trasparire e sottointendere, dalla posizione dei corpi e degli spari, che non sia avvenuta lì e che nessuna pietà ha ammorbidito i contorni delle ombre che hanno inghiottito l'ultima luce di quegli occhi.
L'unica traccia "visibile" per scoprire l'identità delle vittime è racchiusa nei cerchietti d'oro all'indice dei due adulti. Una data di nozze ed i nomi. L'unica visibile, appunto. Quella che nessun altro può invece "toccare", inizia con quel profumo di fiori marcescenti che incomincia a vibrare nell'aria attorno al commissario Serra.
Quell' "emorragia di coscienza" ( come la definisce superbamente l'autore ) che si espande sulla battigia dell'anima mentre la marea del tremito articolare convulsa e spasmodica si ritrae. Con movimenti circolari disegna il perimetro, come in un girotondo di danza obbligata, sottolinea una bolla di spazio tutta intorno alle vittime. Lambisce le loro linee spezzate, ricomponendole negli occhi del Serra, che sente . "Sente" quello che gli occhi della bambina hanno visto ed udito. Come se tutti i sensi nell'ultimo istante si fossero mescolati per essere "trasmessi", insieme alla paura, al dolore, a chi, come il nostro, sà captarne il suono. La "Danza" è uno spartito di dolore. Da questo è "fuggito" il commissario, credendo di esserne ormai libero nel piccolo recinto ovattato di un borgo sperduto. Da questo e dal passato che gli ha inciso nelle membra e nell'anima questo dono, da una grande città che lo costringeva, con la realtà dei tanti crimini a "ballare", da medici e psichiatri e
le loro "inutili" cure e dall'"abbandono" del suo capo, il vicequestore Bernini e la sua ex compagna, ora ricomparsa proprio nello stesso paesino come medico.
Ma il passato, come la terra al principiare della primavera, non può essere trattenuto a lungo sotto una coltre di , apparentemente immacolati, silenzi. Come il dolore esige le sue lacrime ed il rancore la sua vendetta, i segni lasciati da una guerra ormai lontana, cresciuti e ramificatisi a formare il "tessuto" stesso dei paesani, reclamano attenzione, la riscossione del debito. Quella Linea Gotica che ha rappresentato il fronte di una guerra anche ( e soprattutto ) civile, non è stata ancora cancellata. Un mano assassina ( insospettabile fino alla fine del romanzo ) ne demarca ancora i contorni. Serra dovrà danzare..la pace, quella vera, si ottiene solo se tutti "i mostri" vengono portati alla luce.

Ho visto quel paesino, sono salita su quelle montagne, ho vissuto una guerra di cui non avevo che una semplice memoria narrativa, mi sono commossa fino alle lacrime, ho "danzato" persino..e tutto questo aprendo questo romanzo e leggendo la prima riga ..senza smettere fino alla fine.
Serra non è certamente ( come in un buon noir che si rispetti ) un poco problematico, confortante poliziotto alla Derrick, assomiglia forse più a Yoric Malatesta, coroner protagonista di una miniserie della Star Comics : Dr Morgue (la sua Danza è molto vicina alla "voce" di chi è stato ucciso che ascolta quest'ultimo) , o a Jason Gideon profiler FBI nella serie Criminal Minds, o ancora, a tutti quei "portatori di luce" che, nonostante le proprie cicatrici d'anima, hanno comunque forza e determinazione per cercare di arginare le ombre.
Pasini dice, in terza di copertina, di aver scritto per "pagare il debito" alla sua terra e alla sua famiglia..ora ne ha appena acceso un altro..con tutti gli appassionati di gialli, far "danzare" ancora il Commissario Serra.

Articolo di Daniela "eccozucca" Contini

Dettagli del libro

  • Formato: Rilegato
  • Editore: Time Crime
  • Anno di pubblicazione 2012
  • Collana: Narrativa
  • Lingua: Italiano
  • Pagine: 333
  • Codice EAN: 9788866880028

lunedì 16 gennaio 2012

La setta degli angeli - Andrea Camilleri (Sellerio 2011)



È sentimentalismo inutile pensare che la verità semplicemente in quanto tale abbia un qualche potere intrinseco, negato all’errore, di prevalere contro le segrete e il rogo. Gli uomini non hanno piú zelo per la verità di quanto non ne abbiano spesso per l’errore, e un’adeguata applicazione di sanzioni legali o anche soltanto sociali riuscirà in generale ad arrestare la diffusione di entrambi. Il reale vantaggio della verità è che quando un’opinione è vera la si può soffocare una, due, molte volte, ma nel corso del tempo vi saranno in generale persone che la riscopriranno, finché non riapparirà in circostanze che le permetteranno di sfuggire alla persecuzione fino a quando si sarà sufficientemente consolidata da resistere a tutti i successivi sforzi di sopprimerla. -John Stuart Mill (1806 – 1873)

La verità è come una bellissima donna. Qualcosa di magnifico come, potente, immaginifico ed inarrivabile ai più. Qualcosa che si desidera così fortemente da stare male, ma che nel contempo, forse proprio per questo, si respinge perchè aumenta la nostra disistima. E' uno specchio di grandezza, che riflette finanche le ombre della nostra mediocrità. Per questo và taciuta, piegata, estirpata, violentata minimizzandola ed i suoi "portatori" costretti, assolutamente soli, negli angoli più bui e remoti della socialità, se non eliminati fisicamente.

Questa è la pietra angolare su cui si poggia tutta la costruzione dell'ultima ( ma non in ordine di tempo, dato che fu scritta circa quattro anni fà , come testimonia in un'intervista lo stesso autore ) del , e qui permettetemelo, grande Camilleri : "La setta degli angeli".
Anno Domini 1901, siamo a Palizzolo, un "paisi di settimila bitanti, assistimato propio al centro di granni latifondi, nel milli e novicento e uno Palizzolo vantava du marchisi, quattro baruni, un duca di centodu anni che non nisciva cchiù dal castello.." e la "scena" si apre su una riunione del "Circolo" , dove sono riunite tutte le più alte ed importanti personalità del paese ( tranne due come più tardi scopriremo ), per decidere l'ammissione ed il cavalierato dell'avvocato Teresi. Persona, quest'ultima, non proprio benvista da chi tiene le redini del paese e delle coscienze, non tanto per il suo "lavoro" di avvocato, quanto per il suo impegno come giornalista e redattore di un quotidiano locale. Laico, fortemente avulso alle beghe e le commistioni del paese, seguace della verità, ma ancora umanamente bisognoso di essere "riconosciuto" come uomo di "valore", proprio dagli stessi che profondamente disapprova . Necessità di appartenenza mescolata alla volontà ed il riconoscimento di essere eticamente migliore.
La votazione, voluta per forma ma già negata in partenza dalle "coscienze" degli astanti, produce il risultato voluto proprio da quest'ultime: questo socio non s'ha da fare!. Con buona pace dell'avvocato Teresi ( che forse lo sospetta ), neanche i ministri del culto , di ben sette chiese delle otto presenti in paese, vedono di buon occhio una tale candidatura, anzi "tuonano" dal pulpito affinchè un tale servitore del maligno non ottenebri le coscienze candide e facilmente circuibili dei "bravi e timorati" abitanti, pena l'esclusione dal ben più "alto circolo" delle brave pecorelle. Questo vale sia per il volgo che per i nobili come don Anselmo, che spinto da curiosità e diffidenza innata (e cronica aggiungerei ) vuole sapere sia il perchè dell'appoggio alla candidatura di Teresi, sia il come mai dell'assenza alla votazione del barone Lo Mascolo. L'incontro con il dottore, uscito proprio dalla casa di quest'ultimo, e la mala, innata a volte, predisposizione a coprire con bugie più grosse verità scomode, porterà lo scompiglio in paese, dando adito al sospetto che ci sia in atto un'epidemia di colera. Nel tramestio e fuggi fuggi generale, tra le fandonie sempre diverse passate di bocca in bocca e le mezze verità tirate fuori con le pinze, il regio capitano dei carabinieri ( fatto arrivare fresco fresco da fuori ) Montagnet e Teresi scopriranno che la verità è ben altra e che quasi nessuno mai è disposto a guardarla ignuda. Che la facciata, seppur bella e all'apparenza rispettabile, è solo una coltre sottile sotto cui si nascondono le polveri nere e maleodoranti di un sudiciume di spirito.
Cinque fanciulle e una vedova devotissime che dichiarano la loro incipiente maternità come frutto della discesa dello Spirito Santo per purificarle, sette parroci ( su otto ) che di "cristiano" hanno solo la veste, creatori di una setta ( a loro unico e solo vantaggio ) cosidetta "degli angeli"..ce n'è abbastanza per "insorgere" e per chiedere che sia fatta verità e luce..abbastanza perchè certi vincoli e certe "catene" vengano divelte..così sembrerebbe, così spera Teresi mentre la verità che viene a galla gli offre momentaneamente una ribalta di rispettabilità e di solidarietà paesana.
Ma, come ho già detto sopra, la verità è scomoda, è un fardello pesante, è una luce troppo intensa da guardare, un metro con cui è troppo difficile misurarsi l'anima.
E' preferibile, dunque, che il tedoforo di tale "fiamma" bruci insieme ad essa, svanendo come un sogno mai sognato riportando alla normale piccineria dove chiunque può giostrarsi al meglio.
Nobiltà, chiesa, villani e perfino la mafia faranno in modo che tutto venga tacitato ed i "corpi estranei" siano enucleati, lasciati soli, marchiati come appestati, allontanati come se fossero mai esistiti.
Questo immenso e straordinario romanzo di Camilleri si basa su un fatto realmente accaduto ad Alia all'inizio del secolo scorso. Contro questa setta, scoperta , dopo la denuncia di corruzione di minorenni di un prete del luogo alle autorità giudiziarie, proprio da un ex farmacista ( in seguito avvocato) Matteo Teresi, si scagliò Don Luigi Sturzo dai fogli del suo giornale. Inevitabile dire, che come nel romanzo, il Teresi fu, alla rivelazione, fatto oggetto di un ostinato, spietato, ostracismo. La bellezza, se così vogliamo dire, di questo libro è soprattutto ( oltre l'innegabile potenza stilistica e narrativa del maestro Camilleri ) nell'essere non un ennesimo dito puntato sulla fin troppa "umanità" di certi appartenenti a Santa Romana Chiesa, o della prepotenza aristocratica o del potere occulto della paura e del denaro, ma una strenua denuncia sul rifiuto della conoscenza del vero, cosa quest'ultima, che appartiene a molti, moltissimi sotto ogni cielo ed in epoche diverse.
Un'ultima nota : benchè scritto in siciliano molto più stretto di quanto non lo siano i romanzi legati all' indimenticabile Montalbano, la forza del narrato travalica le barriere dialettali garantendo una lettura piacevole oltremisura.

Articolo di Daniela "eccozucca" Contini

Dettagli del libro

  • Titolo: La setta degli angeli
  • Autore: Andrea Camilleri
  • Editore: Sellerio Editore Palermo
  • Collana: La memoria
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • ISBN: 8838925895
  • ISBN-13: 9788838925894
  • Pagine: 233
  • Formato: brossura
  • Reparto: Narrativa > Narrativa storica
  • Prezzo: € 14.00