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sabato 3 dicembre 2011

La casa dei sette cadaveri – Jefferson Farjeon (Polillo 2011)


“Un cadavere può ispirare compassione ma sette superano di gran lunga la nostra capacità di reazione”

Il detto “l’occasione fa l’uomo ladro” calza perfettamente a pennello a Ted Lyte. Lui infatti di professione fa il topo d’appartamenti che vivacchia bene (poche volte) o male (molto più spesso) compiendo piccoli furtarelli appunto quando se ne presenta la possibilità. Per lui quindi la ricerca dell’“occasione” rappresenta un vero e proprio lavoro, una regola di sopravvivenza, più che una contingente eccezione tentatrice. Non ha quindi certamente bisogno del diavoletto istigatore per intrufolarsi all’interno di Haven House, antica villa sulla costa dell’Essex. Ora, credo che trovarsi di fronte ad un cadavere bello e stecchito sicuramente rappresenti un’esperienza a dir poco shoccante. Ma imbattersi addirittura in sette trapassati tutti in una volta sola può mandare in pappa completamente il cervello. La sua fuga dalla casa è quindi talmente repentina e fulminea da farlo finire dritto e filato tra le braccia di un incredulo poliziotto, quasi senza accorgersene.
 “Forse “fretta” non è la parola esatta. E’ scappato da quella casa come se fosse stato sparato da un cannone”. All’ispettore Kendall, più avvezzo al delitto rispetto al malcapitato e balbettante ladruncolo, la macabra scoperta invece sortisce l’effetto contrario. Un cadavere da solo impressiona ma vederne sette tutti in una volta cauterizza, rende quasi insensibili. Spalleggiato da un intrepido giornalista free-lance, l’ispettore si getta a capofitto nel mistero. Tra indagini in terra inglese, una trasferta in oltremanica in quel di Boulogne e una crociera verso i mari del Sud, si arriverà alla sospirata soluzione dell’enigma.
Inizia con questo romanzo dell’inglese Jefferson Farjeon, già incontrato con il precedente “Sotto la neve” (Bassotto n. 61), la carica al numero 200 della collana. Un romanzo dal taglio del tutto particolare e sotto certi punti di vista un po’ atipico per lo standard degli altri romanzi pubblicati . Certamente la storia narrata dimostra l’ingegnosità, quale costruttore di trame originali, dello scrittore e la finezza, l’arguzia e il brio della sua penna. Un racconto a tratti veramente godibilissimo. L’inizio, con l’introduzione del mistero, veramente d’effetto e il via alle prime indagini, è assolutamente travolgente, tanto che difficilmente si riesce a interrompere la lettura. I siparietti tra l’ispettore Kendall, il sergente Wade e il dottor Sauders e successivamente tra lo stesso ispettore e i funzionari francesi che, rimasti impressionati per il numero di cadaveri sui quali indaga il collega anglosassone, si sentono un po’ in imbarazzo per il fatto di “essere riusciti a trovare un solo defunto” sono qualcosa di irresistibile. Fatto ciò, la trama vira completamente verso sviluppi inaspettati spiazzando completamente il lettore, forse troppo (ben) abituato al classico e forse sotto certi aspetti, “rassicurante”, schema “delitto-indagine-soluzione”.
La parte centrale, ambientata in Francia e il successivo sviluppo verso il finale, assume invece tratti avventurosi che ricorda più quei libri di Edgar Wallace che mischiano il mistero ad una certa dose di melodramma (per gli appassionati dell’autore di “Maschera bianca” – Bassotto n. 37 e “Il cerchio rosso” Bassotto n. 66 e di “King Kong” cito il pur famoso “L’arciere verde”) strizzando l’occhio al “feuilleton” francese con le sue storie intricate, contraddistinte da qualche buchetto qua e là nella trama e le “combinazioni” un a volte inverosimili proprie di questo genere letterario che predilige molto un “mistero che viene dal passato” (che spiegherà l’enigma dei sette cadaveri) e preferibilmente una donzella un po’ svenevole, parecchio spaventata e insicura, quale Miss Fenner del romanzo,una figura, ancora nel 1939, per intenderci più in carattere con la “seconda Signora De Winter” piuttosto che con la “prima moglie” Rebecca (il libro della Du Maurier è solo dell’anno prima).
Vengono subito in mente, per restare nell’ambito della collana della Polillo, l’apprensione e le inquietudini un po’ sulle righe che attanagliano le eroine create da Mignon Good Eberhart nel suo “Il pappagallo bianco” (Bassotto n. 41), da Christianna Brand ne “Il gatto e il topo” ( Bassotto 78) o da Helen McCloy in “Panico” (Bassotto n. 79). In queste pagine la trama imbastita da Farejon si appesantisce un po’ e perde per un attimo di brillantezza rispetto alla prima parte, quasi volesse uniformarsi all’atmosfera che l’autore ha creato, appunto, un pochetto troppo “retrò” con aspetti sinistri e tenebrosi propri di certi manierismi più fine ottocento che propri degli anni ’30 del novecento e che se letti oggigiorno, suonano inevitabilmente parecchio artificiosi, al punto da fare quasi sorridere piuttosto che angosciare il lettore moderno. Ma pure queste storie hanno contribuito a far grande l’epoca d’oro del genere ed è giusto che si alternino con altre più vicine alla tradizione del “whodunit?”.
Un mystery quindi che è in po’ romanzo giallo d’indagine, un po’ romanzo d’avventura, comunque di gradevole lettura con un “plot” che si dipana a tappe forzate, con una velocità dettata da tempi narrativi, per fortuna, ristretti (il che significa molto ma molto più velocemente rispetto alla realtà vera e propria, a costo pure di soprassedere su certi chiarimenti lasciati piuttosto all’intuito del lettore). Sicuramente divertente ancora ai giorni nostri. L’importante è abbandonarsi completamente alla storia e farsi condurre fiduciosi per mano da un buonissimo autore quale è stato Jefferson Farjeon, senza porsi troppi interrogativi sulla verosimiglianza della trama. Ovvero porsi i quesiti giusti. Chi sono i sette trapassati? Come sono morti? Suicidio o omicidio? Come sono arrivati e perché proprio a Haven House? Che ci sta a fare una pallina da cricket logora e consunta, in cima ad un vaso d’argento in bella vista sul camino? Cosa significa l’enigmatico messaggio trovato stretto nelle mani di uno di loro? Cosa si cospira alla “Pension Paula” di Boulogne? Chi è il misterioso venditore ambulante “dalla pelle scura” che pare pedinare i “nostri”? Rispondente a questi e tanti altri enigmi e avrete la soluzione del mistero dei sette cadaveri in casa (per tacere del gatto).

Articolo di Alberto "allanon" Cottini

Dettagli del libro

  • Titolo: La casa dei sette cadaveri
  • Autore: Jefferson Farjeon
  • Traduttore: Dario Pratesi
  • Edirore: Polillo Editore
  • Collana: I Bassotti n. 101
  • Data pubblicazione: luglio 2011
  • Pagine: 288
  • Euro 13,90

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