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mercoledì 29 settembre 2010

La manomissione delle parole - Gianrico Carofiglio


“LA MANOMISSIONE DELLE PAROLE” – PRESENTAZIONE DEL NUOVO LIBRO DI GIANRICO CAROFIGLIO

Domenica 12 settembre, ore 18.30, Piazza Castello: Gianrico Carofiglio (finalista al Campiello 2010 con Le perfezioni provvisorie) chiude il Festivaletteratura 2010.
Stefano Salis, giornalista de Il Sole 24 Ore, lo interroga sull’oggetto del libro che uscirà in autunno per Rizzoli, La manomissione delle parole, che è in sostanza un seminario sulla scrittura.
In una pagina di Ragionevoli dubbi, romanzo del 2006, l’avvocato Guerrieri legge un libro che si intitola proprio La manomissione delle parole, edizioni dell’Orto Botanico. Da allora è accaduto a Gianrico Carofiglio di sentirsi chiedere più di una volta delucidazioni su quel libro che aveva inventato. Ragion per cui, alla fine, ha deciso di scriverlo. Ma cerchiamo di capire cosa intende l’autore con la parola manomissione.
La manomissione può essere intesa in due sensi, ovvero come alterazione del linguaggio ma anche come liberazione dalle convenzioni linguistiche al fine di dare un senso ai vocaboli. Le parole sono spesso prive di significato, perché oramai le abbiamo alterate, consumate e svuotate con un uso eccessivo e inconsapevole; c’è quindi la necessità di ricostruirle, ridando loro senso e consistenza. Tutti i poteri manomettono le parole; un momento divertente dell’incontro è quando il magistrato Carofiglio legge brani di sentenze, esempi di un linguaggio giuridico particolarmente astruso, 115 parole senza punteggiatura per dire semplicemente che esiste reato se c’è un rapporto di causa ed effetto.
Alla domanda su qual è la relazione tra il mondo delle parole e il mondo della realtà, Carofiglio risponde che l’esplosione di violenza è conseguenza di una mancanza di parole. Chi non ha i termini per raccontare cosa gli passa per la testa e quali sono le proprie difficoltà, traduce in violenza ciò che non riesce a tradurre in parole. Carofiglio cita Rosa Luxemburg: “Anche solo dare il nome giusto alle parole, è una rivoluzione”. In merito a questo, porta l’esempio dell’antropologo Lévi Strauss che ha studiato l’alto tasso di suicidi a Tahiti, osservando che nella maggior parte dei popoli primitivi è molto difficile ottenere una giustificazione morale, o una giustificazione razionale di un’usanza o un’istituzione. Le ragioni inconscie per cui si pratica un’usanza o si condivide una credenza, sono in genere assai lontane da quelle con cui il soggetto cerca di giustificarle. Nella lingua tahitiana non sembrano esserci proprio i termini per definire concetti quali tristezza, angoscia, paura, etc.
Il punto di partenza, secondo Carofiglio, è l’inquinamento del linguaggio pubblico. “Le parole sono pistole cariche, se le maneggi in maniera impropria sparano” dice Carofiglio, citando le parole di Brice Parain.
Vergogna, giustizia, ribellione, bellezza e scelta, sono le cinque parole analizzate nel libro e messe in relazione tra loro per “aloni di senso”. Ogni parola ha un suo alone di senso che va recuperato, ovvero una pluralità di significati che le avvolge e le mette in relazione. In una realtà dove le persone o non riescono a esprimere le proprie emozioni agendo quindi con aggressività sconvolgente, o dove le persone hanno invece una esasperata violenza verbale, nasce l’esigenza di riappropriarsi dei vocaboli e dargli nuovamente un senso. Non vuole sbilanciarsi Carofiglio per non rivelare troppo del suo nuovo libro. Accenna alla vergogna e dice che esiste un parallelismo tra la capacità di provare vergogna e la capacità di provare dolore fisico. Vergogna è qualcosa da intimare ad altri ma il verbo vergognarsi implica un’azione riflessiva. La capacità di provare vergogna è un meccanismo di autoregolazione morale; e la capacità di provare dolore fisico è un segnale, come lo è la capacità di provare vergogna. Tutti noi, segretamente, riconosciamo almeno con noi stessi di aver fatto o detto qualcosa di vergognoso.
Le parole sono difficoltose ma possono essere più potenti delle immagini. Purtroppo spesso non ce ne rendiamo conto, ma le parole possono ferire più di qualsiasi altra cosa, sono armi molto potenti e tutti noi dovremmo esserne consapevoli. Qui Carofiglio ricorda Calvino e il suo “terrore semantico”, cioè la fuga di fronte a un vocabolo che abbia di per sé stesso un significato, escludendo quindi la comunicazione e la profondità espressiva, come se i significati fossero costantemente allontanati.
Per ridurre il rischio della violenza verbale bisogna opporsi alla violenza in maniera diversa dalla violenza. “Il segreto dell’invincibilità è la non resistenza”, continua Carofiglio. L’arte marziale del ju-jitsu (arte della dolcezza) pratica proprio questo principio per cui “il morbido vince il duro”, più si cerca di colpire forte, maggiore è la forza che si ritorce contro.
E conclude l’incontro con una frase di Gilbert Keith Chesterton: “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi”.
Non sarà di certo l’intervento di Carofiglio a Festivaletteratura a cambiare il mondo, ma il solo fatto di volerci provare è da apprezzare.

Articolo di Alessia Vivara

Dettagli del libro
  • € 14,00
  • Editore Rizzoli
  • Data uscita 13/10/2010
  • Pagine 180, rilegato
  • Lingua Italiano
  • EAN 9788817043687

2 commenti:

Martina S. ha detto...

Argomento interessante, l'importanza delle parole. Devo ancora leggere qualcosa di Carofiglio... urge rimediare.

Anonimo ha detto...

Bel commento Vivara!!
@Martina
Io adoro Guerrieri
gracy