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sabato 29 maggio 2010

Il gatto e il topo - (Uno della famiglia) – Christianna Brand


Katinka Jones, quando dispensa consigli sentimentali alle lettrici della rubrica che tiene sulla rivista “Girls Together”, interpreta la parte di miss “La Vostra Amica”. Ed è proprio a questa che tal Amista, dal Galles più profondo, scrive per confessare le proprie vicissitudini sentimentali e lo struggimento amoroso provocato dal ben più anziano, nonché bel tenebroso, tutore Mr. Carlyon. La ragazza nelle sue lettere descrive inoltre dettagliatamente il luogo in cui vive, la villa, il personale di servizio e persino il gatto siamese di casa. Più scrive e racconta e più la giornalista entra in simbiosi con la lei, tanto che nel corso di una vacanza estiva, Katinka pensa bene di organizzare un’improvvisata per andare a trovare e conoscere quella che ormai è diventata la sua affezionata “amica di penna” che, nel frattempo, pare aver coronato il proprio sogno ed essere convolata a giuste nozze con l’oggetto dei suoi desideri. Finalmente. Il momento tanto atteso è giunto. Dopo un viaggio difficoltoso e disagevole, su e giù per le colline più sperdute del Galles, Katinka alfine giunge alla porta della sperduta, tetra e isolata tenuta di Penderyn. Tutto è proprio come è stato descritto nelle lettere: il posto quasi inaccessibile, la casa un po’ lugubre, il personale elusivo e c’è pure il gattone, che fin da subito si mette a guardarla in maniera un po’ storta. Non manca niente e nessuno. Ormai a Katinka non rimane che chiedere della nuova padrona di casa: la sua amica Mrs. Amista Carlyon….......
Nella collana “I Bassotti” avevamo già incontrato Christianna Brand in occasione della pubblicazione di “Uno della famiglia” (Bassotto n. 39). Un buon romanzo, con una storia molto classica che rientra a pieno titolo nella categoria dei “delitti della camera chiusa”, in cui un anziano, libertino, ed evidentemente non proprio idolatrato, patriarca di una tipica famiglia dell’”upper class” inglese, decide, in seguito ad un alterco, di passare la notte, da solo, nella dépendance della villa di campagna in cui ha riunito l’allegra famigliola. E lì, il mattino seguente, viene trovato morto stecchito, avvelenato. Chi è stato? A quanto pare nessuno: infatti il piccolo edificio è circondato da un tappeto di rose e da una striscia di sabbia, entrambi rigorosamente intatti. Eppure una cosa è certa: non si tratta di suicidio né di incidente. Dopo aver scoperchiato un buon numero di altarini di famiglia e dopo numerosi indizi sparsi ad arte per tutta la storia, si giunge ad una soluzione semplice quanto soddisfacente, da far invidia al classico campo di neve intonso di “Assassino all’abbazia” del maestro John Dickson Carr o alla spiaggia sabbiosa intatta e senza orme che circonda il cadavere di Lord Wallace che si è fatto ignominiosamente accoltellare in pigiama ne “Il coltello nella schiena” di Anthony Wynne (Bassotto n. 45).

Mentre col romanzo “Uno della famiglia” ci troviamo di fronte ad un tradizionale giallo omicidio-indagine-soluzione, con “Il gatto e il topo” siamo alle prese con un mistery dall’atmosfera sinistra e tenebrosa che sarebbe sicuramente piaciuto ad Alfred Hitchcock, se questi non si fosse innamorato in precedenza del romanzo di Daphne Du Maurier e non avesse girato, già nel 1940, “Rebecca la prima moglie”. Un romanzo più gotico che giallo che pur scritto agli inizi degli anni 50 del 900 a tratti, soprattutto nella prima parte, risponde più ai canoni che hanno caratterizzato il romanzo inglese ottocentesco che non a quelli della golden age del genere giallo conclusasi agli inizi degli anni 40. Accanto a Daphne Du Maurier infatti c’è pure tanta Jane Austen in questa storia. Del resto i tanti espliciti richiami nel corso della trama a “Jane Eyre” non sono del tutto casuali. Penderyn è un po’ Thornfield Hall di “Jane Eyre” e un po’ Manderley di “Rebecca” e Mr. Carlyon potrebbe indifferentemente rivestire ora i panni di Mr. Rochester, ora quelli di Maxim de Winter (quali indosserà alla fine lo saprete nelle ultimissime pagine). Va subito detto che il critico (e scrittore a sua volta di gialli) Julian Symons ha forse esagerato un pizzico inserendo questo titolo tra i 100 migliori gialli mai scritti e forse anche il giudizio di Patricia Highsmith (“superbo”) appare un po’ enfatizzato. Spazzato il campo dagli equivoci, c’è da dire che il romanzo, con il sapiente uso di sospetti, paure e segreti, oscilla costantemente tra il melodramma puro, il mistero, l’orrore e il giallo psicologico. Nella prima parte della storia la Brand, con ottimo mestiere, è capace di creare con maestria delle situazioni di vera angoscia e apprensione, alternati però ad alcuni momenti in cui il lettore più scafato di gialli deve fare un certo sforzo per piegare la sua credibilità alla trama imbastita dalla scrittrice perché, secondo il mio modestissimo parere, a tratti questa atmosfera “da incubo” appare un po’ artefatta e artificiosa in quanto conseguenza piuttosto dalle reazioni di tanto in tanto un po’ sopra le righe della protagonista, che obiettivamente, a volte scambia lucciole per lanterne (altre volte no vi garantisco), e di cui non mancano certe reazioni affettate, più dettate da un certa propensione all’isterismo, un attimino ingiustificato, che da reali e oggettive situazioni di pericolo. Diciamo insomma che nel creare un certo tipo di atmosfera la protagonista, che appare intimidita fin da subito dal clima che pervade la casa, ci mette parecchio di suo anche quando magari non ce ne sarebbe propriamente bisogno. Ma attenti, perché la Brand pur non avendo scritto tantissimo (diventerà piuttosto famosa per aver creato il personaggio di “Tata Matilda”) è sicuramente una scrittrice di razza ed è innegabile che ci sappia fare. Nella seconda metà della storia, una volta svelato “il grande arcano della casa”, il romanzo anziché afflosciarsi prende vigore e lievita proprio nel momento in cui la trama assume i caratteri più della storia razionale che soprannaturale. Il libro diventa di colpo uno di quelli “che è impossibile mettere giù e che bisogna assolutamente vedere come va a finire”. La suspense aumenta sensibilmente, tiene incollata il lettore e il senso del mistero rimane assolutamente immutato fino alle ultime pagine in cui verrà svelato il vero colpevole.
Pur essendo una storia con pochi personaggi, per altro ottimamente descritti, ne viene fuori ugualmente un racconto teso, complesso e “pieno”, così da risultare alla fine una lettura del tutto appagante nonostante, ripeto, qualche manierismo tra il melodrammatico e il teatrale che caratterizza la prima parte del romanzo.
Alla fine, tutto visto e sommato, un romanzo ancora godibilissimo, scritto da quella che giustamente viene considerata come l’ultima grande esponente dell’epoca d’oro del giallo classico e che proprio nell’anno in cui raggiunge la rispettabile età di 60 anni, dimostra di avere pure lui le proverbiali 7 vite del siamese che compare nella storia.

Articolo di Alberto "Allanon" Cottini

Dettagli del libro
  • Titolo: “Il gatto e il topo”
  • Autore: Christianna Brand
  • Editore: Polillo
  • Collana I Bassotti 78
  • Pagine: 262
  • Anno pubblicazione: 2010
  • Euro 13,90
  • ISBN: 9788881543489

Dettagli del libro
  • Titolo: “”Uno della famiglia”
  • Autore: Christianna Brand
  • Editore: Polillo
  • Collana I Bassotti 39
  • Pagine: 249
  • Anno pubblicazione: 2006
  • Euro 12,40
  • ISBN: 9788881542727

4 commenti:

Martina S. ha detto...

La penna sopraffina di Alberto colpisce ancora... e il Bassotto, anzi I Bassotti finiscono subito in wishlist. L'atmosfera gotica, alla Du Maurier, mi tenta molto.

Frankie Machine ha detto...

Mannaggia Alberto, questa non è una recensione, ma una lectio magistralis! Alla fine non hai solo voglia di leggere questo libro, ma di andare a scoprire tutti i riferimenti che hai citato con dovizia di particolari e la precisione del cultore della materia. Sei la Lia Volpatti dei Corpi Freddi!

Anonimo ha detto...

E vai!!!
Fabio Lotti

Unknown ha detto...

Superlativo Alberto ^__^
Un abbraccio fortissimo